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«È mafioso chi fa affari con i mafiosi»

LAMEZIA TERME «Mafioso chi fa affari con mafiosi». Un principio recentemente elaborato dalla giurisprudenza della corte di Cassazione, a cui questa mattina uno dei quotidiani economici più pre…

Pubblicato il: 10/07/2015 – 13:38
«È mafioso chi fa affari con i mafiosi»

LAMEZIA TERME «Mafioso chi fa affari con mafiosi». Un principio recentemente elaborato dalla giurisprudenza della corte di Cassazione, a cui questa mattina uno dei quotidiani economici più prestigiosi del Paese, Italia Oggi, ha dedicato l’apertura del giornale. La questione viene spiegata in un articolo firmato da Vincenzo Comi e da Antonio Mazzone, il penalista calabrese che fa parte della commissione per la riforma del codice di procedura penale presieduta dal procuratore aggiunto della Dda reggina, Nicola Gratteri.
«Nel concorso esterno in associazione mafiosa è colluso l’imprenditore che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e privo della volontà di essere socio (affectio societatis) instauri con la cosca rapporti di reciproci vantaggi», viene spiegato. A stabilirlo è stata la Suprema corte con la sentenza 24771 dell’11 giugno scorso, che segna un momento di svolta nella giurisprudenza in materia di economia mafiosa e che, probabilmente, è destinata ad aprire un dibattito.
Secondo i giudici in ermellino, evidenziano Comi e Mazzone, i vantaggi conseguiti dall’imprenditore che può definirsi colluso sono rappresentati dal fatto di «imporsi sul territorio in posizione dominante» nel mentre l’organizzazione mafiosa ottiene «risorse, servizi o utilità».

Il concorso esterno per l’imprenditore – evidenzia la sentenza della Cassazione – si traduce in un «contributo alla conservazione o al rafforzamento del gruppo associativo» ma tutto questo rende i confini della condotta più incerta, potendosi parlare di concorso esterno anche di fronte ad «azioni di per sé lecite».

«Tale contributo causale – avvisa l’articolo di Italia Oggi – non può essere presunto ma deve essere accertato in concreto, con riferimento all’avvenuto accrescimento della potenzialità operativa e della capacità d’intimidazione» del clan.
Mazzone e Comi, nel richiamare la “sentenza Contrada” della Corte europea dei diritti dell’uomo, concludono sottolineando la necessità di «delineare puntualmente i contorni di una fattispecie incriminatrice» perché «la legge deve definire chiaramente i reati».

 

red. corcal.

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