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Processo "Cripto", gli imputati scelgono l'abbreviato

REGGIO CALABRIA Fatta eccezione per Domenico Ventura, che il prossimo 14 settembre dovrà presentarsi di fronte al Tribunale di Reggio Calabria per l’inizio del procedimento con rito ordinario, hann…

Pubblicato il: 14/07/2015 – 15:40
Processo "Cripto", gli imputati scelgono l'abbreviato

REGGIO CALABRIA Fatta eccezione per Domenico Ventura, che il prossimo 14 settembre dovrà presentarsi di fronte al Tribunale di Reggio Calabria per l’inizio del procedimento con rito ordinario, hanno scelto tutti l’abbreviato gli altri diciassette indagati dell’inchiesta “Cripto”, l’indagine che ha inferto un nuovo duro colpo al clan Caridi-Borghetto-Zindato, facendo saltare la cinghia di trasmissione fra i detenuti in carcere e uomini e donne del clan ancora in libertà. Per tutti loro – Domenico Barbaro, Eugenio Borghetto, Rosa Maria Buzzan, Natale Cuzzola, Alessandro Iannì, Paolo Latella, Domanico Antonio Laurendi, Francesco Laurendi, Giuseppe Laurendi, Carmela Maria Nava, Biagio Parisi, Cosimo Pennestrì, Massimiliano Polimeni, Domanico Varano, Francesco Zindato, Domenico Bullace e Gaetano Andrea Zindato – il giudizio di fronte al gup è fissato per il 27 ottobre, quando il pm Stefano Musolino sarà chiamato a discutere delle singole posizioni e avanzare le relative richieste di pena. Secondo quanto emerso dall’indagine, erano tutti a vario titolo coinvolti nel sistema mutualistico messo in piedi dal clan per garantire il mantenimento dei detenuti in carcere, gestito da Melina Nava, madre dei fratelli Checco e Andrea Zindato, considerati tuttora figure apicali del clan nonostante le lunghe condanne anche di recente rimediate.

A permettere agli investigatori di conoscerne regole e meccanismi è stato Domenico Antonio Laurendi, responsabile per il clan della gestione dei pagamenti mensili ai familiari degli affiliati e per lungo tempo intercettato dalle cimici della Mobile. Ascoltandolo, investigatori ed inquirenti sono riusciti a ricostruire gli equilibri esistenti e ad individuare i «veri e propri accordi – si leggeva nell’ordinanza – con cui stabilire chi è l’incaricato di consegnare il denaro e chi, invece è deputato a riceverlo, rivelando come le somme di denaro utilizzate per il sostentamento dei detenuti vengano procurate attraverso la consumazione di altri delitti quali il traffico di stupefacenti o reati contro il patrimonio». Un sistema rodato che anche quando si inceppa è in grado di attivare procedure e interventi necessari per rimetterlo in marcia. È quanto succede ad esempio quando uno dei sodali, Biagio Parisi, decide di trattenere la quota destinata ai familiari di un uomo del clan, Domenico Ventura. Uno sgarro per cui Domenico Laurendi, tramite i familiari, chiederà l’intervento diretto di Melina Nava, madre del reggente Checco Zindato e del fratello Andrea, cui dopo l’arresto dei figli è toccato tenere strette le redini del clan. È lei infatti a venire informata di dissidi e controversie, puntualmente riferite al figlio Checco, come a riportare le direttive che da questi vengono impartite durante i colloqui. Un meccanismo emerso da centinaia di conversazioni intercettate, sulla base delle quali gli inquirenti ipotizzano che proprio dai massimi vertici del clan sia arrivato il via libera all’escalation di intimidazioni – una testa d’agnello in macchina, l’auto data alle fiamme, minacce verbali e fisiche – cui Parisi è stato sottoposto per riportarlo «sulla retta via».

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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