Quando abbiamo appreso che la Conferenza dei capigruppo in consiglio regionale, sfidando il caldo torrido e i patemi politici del momento, pur in presenza delle dimissioni eterodisposte del suo presidente, si riuniva con urgenza per votare una mozione che facesse tornare in Calabria la testa di uno dei suoi figli al centro di un ampio interesse scientifico e sociologico, ci è venuto spontaneo pensare che finalmente qualcosa stava cambiando e che gli interessi generali avevano il sopravvento sulle vicende politiche.
Solo più tardi abbiamo scoperto, grazie al comunicato stampa diffuso da Palazzo Campanella, che la “testa” di cui si reclama il rientro in Calabria è quella del brigante Giuseppe Villella.
Per carità, nulla intendiamo togliere anche all’importanza di questo storico contenzioso tra la Calabria e lo Stato italiano. Siamo ben consci che, come spiegano i capigruppo in consiglio regionale, è importante che «il cranio del brigante» vada «restituito alla Calabria e segnatamente al suo comune d’origine, Motta Santa Lucia, per darne dignitosa sepoltura». Accettiamo anche che i capigruppo lo definiscano «un cranio simbolo dell’ancora attualissima questione meridionale e del non ancora rimosso pregiudizio antimeridionale».
E tuttavia manteniamo una certa delusione nello scoprire che questo è l’unico punto sul quale tutti i capigruppo, di maggioranza e di opposizione, (Orlandino Greco, Oliverio presidente; Sebi Romeo, Pd; Flora Sculco, Calabria in rete; Giuseppe Giudiceandrea, Dp; Giovanni Nucera, La Sinistra; Fausto Orsomarso, gruppo Misto; Francesco Cannizzaro, Casa delle libertà; Alessandro Nicolò, Forza Italia; Giovanni Arruzzolo, Ncd), trovano una convergenza laddove di esempi più concreti e meno belluini per dimostrare il permanere di una “questione meridionale” non ne mancano certo.
Il fatto, ad esempio, che a Roma si decida sul futuro dei porti calabresi spacchettandoli tra Puglia, Campania e Sicilia; che l’autostrada resti chiusa anche in piena stagione turistica e nel contempo vengono tagliati voli di linea e convogli ferroviari; che dell’alta velocità si è smesso di discutere e che la Calabria è fuori dagli interventi per le aree industriali in crisi; che i pochi soldi che arrivano vengano assorbiti da una spesa sanitaria in mano a una multinazionale di nome Kpmg, e via dicendo. E, parlando di “teste”, il fatto che le migliori “teste pensanti” stentino ad avere un percorso universitario adeguato in Calabria mentre la ricerca scientifica è ormai traslocata definitivamente oltre la Linea gotica. Tutte queste cose ci sembra testimonino molto meglio il permanere di una “questione meridionale”.
Niente, per il momento accontentiamoci di sapere che, grazie alla mozione della Conferenza dei capigruppo, il «primo consiglio regionale utile», impegnerà «il presidente e la giunta regionale a promuovere ogni utile iniziativa, affinché si giunga alla restituzione, ai discendenti o alle amministrazioni comunali di origine che ne avessero fatto richiesta (come nel caso del cranio del brigante calabrese Giuseppe Villella da parte del Comune catanzarese di Motta Santa Lucia), delle spoglie trattenute nel museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso” di Torino».
Ribadiamo, non è intenzione sminuire la portata del dibattito culturale insorto attorno alle teorie di Lombroso e al museo che ne ospita i reperti. Va giusto aggiunto che esistono anche musei dedicati alla “Santa inquisizione”, altri dedicati ai campi di sterminio: è la storia, la nostra storia. L’oblio non è detto che sia una soluzione. Tuttavia quello che non riusciamo a comprendere, il punto dove la solerzia della Conferenza dei capigruppo non risulta convincente, è nell’assunto per il quale: «Le aberranti teorie del Lombroso e dei suoi seguaci, nel periodo post-unitario – ricorda Orlandino Greco – contribuirono a pregiudicare la matrice unitaria, la coesione nazionale e l’equilibrato sviluppo del Paese, applicando malevolmente all’interno della nazione i teoremi sulla presunta inferiorità razziale delle popolazioni del Mezzogiorno».
Ecco, carichiamo a Cesare Lombroso tutte le colpe e tutte le responsabilità che riteniamo, ma francamente individuare nelle sue «aberranti teorie» la conseguenza della mancata «coesione nazionale» e di un mancato «equilibrato sviluppo del Paese», ci sembra assoluzione di ben altre colpe e di ben altre responsabilità politiche e di governo. Un ragionamento simile potrebbe tornare utile a Matteo Salvini, non certo ai calabresi. Ma non dubitiamo che presto, e con la stessa solerzia, i capigruppo e il consiglio regionale si occuperanno anche di tali responsabilità politiche e magari troveranno tempo pure per indagare sui misfatti di casa nostra: quattro stagioni di fondi comunitari spesi male o non spesi affatto; burocrazia da America latina; imprese abbandonate in mano a corruttori e ‘ndranghetisti; inquinamento senza industrializzazione; costante emigrazione dei giovani.
Siamo, in sostanza, all’ammonimento delle sacre scritture: la nostra classe dirigente seguita a trovar comodo dibattere della pagliuzza nell’occhio degli altri piuttosto che della trave conficcata nei suoi.
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