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Rende, il call center licenzia 85 lavoratori

CATANZARO La società di call center Telint Sud «alla fine ha deciso di mandare a casa i suoi 85 dipendenti». Lo rendono noto, in un comunicato, i sindacati Slc Cgil Calabria e Ugl Telecomunicazioni…

Pubblicato il: 18/07/2015 – 9:35
Rende, il call center licenzia 85 lavoratori

CATANZARO La società di call center Telint Sud «alla fine ha deciso di mandare a casa i suoi 85 dipendenti». Lo rendono noto, in un comunicato, i sindacati Slc Cgil Calabria e Ugl Telecomunicazioni. «Il 13 luglio 2015 – è scritto nella nota – alla Direzione territoriale del lavoro di Cosenza si è svolta l’ultima fase della procedura di licenziamento per cessazione dell’attività tra la Telint Sud srl e le organizzazioni sindacali Slc Cgil e Ugl Telecomunicazioni. Purtroppo, la logica del profitto, incentrata solo ed esclusivamente nella ricerca esasperata della riduzione della retribuzione e dei diritti quale unico strumento per competere e distribuire lavoro, alla fine ha prevalso. Si è concluso nel peggiore dei modi possibili la vicenda del call center di Rende che svolgeva attività di telemarketing per una nota industria di cosmesi infatti. Da domani gli 85 dipendenti saranno ufficialmente disoccupati nonostante il lavoro responsabile portato avanti dalla Slc Cgil Calabria e dall’Ugl Telecomuniucazioni che fino alla fine hanno insistito per la ricerca di una soluzione, pur di salvaguardare l’occupazione ed evitare il peggio, proponendo un insieme di strumenti per garantire agli 85 lavoratori un contratto a tempo indeterminato. Ma la società, con sede legale in Piemonte e sede operativa a Rende, che solo tre anni fa, affidandosi alla riduzione del costo del lavoro offerta dalla legislazione vigente in materia di sgravi contributivi, avviò le procedure di stabilizzazione per il proprio personale, trasformando i contratti di collaborazione a progetto, in contratti a tempo indeterminato, ha deciso di mandare a casa i suoi dipendenti perché gli incentivi sono finiti e il costo del lavoro è diventato insostenibile, perché i lavoratori non hanno voluto farsi carico per intero (ma solo di un misero 20/25%) dell’aumento dei costo del lavoro di circa 500mila euro con una riduzione sensibile della retribuzione perché i lavoratori semplicemente si sono rifiutati di essere ancora precari, perché il committente (presente all’incontro) non si è voluto assumere la responsabilità sociale di contribuire a determinare le condizioni per il mantenimento del perimetro occupazionale nonostante i lauti guadagli degli ultimi anni, dovuti alla grande professionalità del lavoro svolto da coloro che oggi si trovano disoccupati. Da domani in Calabria ci sarà un azienda in meno e 85 disoccupati in più ma questo non fa più notizia. L’importante è essere pronti per offrire altri incentivi all’ennesimo imprenditore predatore per darci il ben servito fra tre anni e la storia continua. È mai possibile che le istituzioni non si rendano conto che da anni continuiamo a finanziare gli incentivi per nuove assunzioni che puntualmente, ogni tre anni, si trasformano in altrettanti finanziamenti per sostenere i sussidi di quelle stesse persone che si trovano disoccupate? È giusto che questi lavoratori debbano subire l’ennesima umiliazione come essere umani e come lavoratori da parte di qualcuno che ti dice: gli incentivi sono finiti, se vuoi tenerti il lavoro mi lavori le stesse ore per metà dello stipendio o ancora meglio scegli di diventare precario e sappi che alla fine se non accetti e perdi il lavoro la responsabilità è solo tua. Umiliazione, sensi di colpa, disoccupazione».

«E questo – concludono i sindacati – succede ancora in Calabria, ancora in Italia, caro Matteo Renzi».

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