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Marulla, le bandiere non muoiono mai

COSENZA Nome, cognome, data e materia. Firmato Gigi Marulla. Quando ancora, sul finire degli anni Novanta del secolo breve, agli esami universitari, ci si prenotava con l’inchiostro, poteva capitar…

Pubblicato il: 19/07/2015 – 20:00
Marulla, le bandiere non muoiono mai

COSENZA Nome, cognome, data e materia. Firmato Gigi Marulla. Quando ancora, sul finire degli anni Novanta del secolo breve, agli esami universitari, ci si prenotava con l’inchiostro, poteva capitare che in austere facoltà del Centro e del Nord Italia qualche studente fuorisede e buontempone di origini bruzie siglasse non col proprio nome ma con quello dell’idolo calcistico rossoblu. Per ascoltarne magari la pronunzia dall’odiato e incredulo professore durante l’appello, oppure, semplicemente, per rivendicare ancora e ancora una volta i propri fieri natali. Ma non era solo una goliardata del frescone di turno. No, era di più, molto di più. Era la prova certificata che un calciatore, appese le scarpe al chiodo, fosse entrato nel mito. Nell’immaginario collettivo, nell’immaginario di nuove generazioni di cosentini che professavano il ribelle verbo calcistico rossoblù in giro per lo Stivale con due stelle polari sulla testa a fare da guida: gli ultrà della Curva Sud del San Vito e la bandiera Gigi Marulla in campo. Ecco chi era Marulla per i discendenti di Telesio, se un giorno qualcuno lo domandasse. Era il clangore delle spade in battaglia, il rumore da far ascoltare ai rivali per intimorirli, era il nume tutelare cui aggrapparsi quando tutto era perduto e null’altro c’era da fare se non affidarsi alla leggenda. Come a Pescara, a Padova, a Lecce.

 

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(I gol più belli della bandiera rossoblù – da YouTube)

 

Fenomenologia del divo. Che quasi per un errore del destino era nato in un’altra provincia. Lui, il più cosentino fra i calciatori cosentini, l’alfiere del popolo dei lupi, il più prolifico e presente, il più amato fra i bomber che in oltre un secolo di storia hanno vestito la casacca del Cosenza Calcio. Il novantesimo è passato da un pezzo, i tempi supplementari sono un’agonia per le migliaia di supporter silani giunti a Pescara. Lo spareggio per rimanere in serie cadetta contro gli acerrimi e odiati salernitani è una prova di fede. Fin quando un disperato lancio dalle retrovie, preda di due arcigni difensori granata viene catturato dal numero nove rossoblù che indossa anche la fascia da capitano. Corsa a perdifiato, cuore e polmoni, istinto, tecnica, opportunismo. Due tocchi alla velocità della luce, la sfera di cuoio si infila sotto la traversa, goal. Il Cosenza è salvo, Bruno Pizzul in diretta Rai non fa che ripetere il nome di Marulla mentre lui termina la corsa soltanto dopo essersi tuffato sotto il muro di bandiere rossoblu della curva presidiata dai suoi tifosi.

Ancora oggi, un quarto di secolo dopo, quando il refrain “te lo ricordi Marulla” è ululato dai supporter silani a via degli Stadi tremano i gradoni. Si dice che per non fargli giocare quell’incontro gli venne promesso il cielo, ma le bandiere non si comprano. Le bandiere piangono di gioia e versano lacrime di dolore. Come quella volta a Padova. San Gigi da Stilo prova a tenere a galla i suoi ancora una volta con un sigillo agli ultimi minuti, la serie B però scivola via lo stesso per il pareggio dei padroni di casa a tempo scaduto. E Marulla, inquadrato dalle telecamere della prima pay tv, al fischio finale, piange. O come quella volta a Lecce, l’olimpo del calcio ad un passo e niente. Altre lacrime. Altri tempi, altro calcio, altro Cosenza che la serie A la teneva a portata di mano. Altri campioni di provincia, con la mezza pelata senza vergognarsene, che sapevano innamorarsi della città dove erano divenuti uomini tanto da metter lì su famiglia senza selfie e protagonismi da reality. Allenandolo persino il Cosenza Calcio. Alla bisogna, quando le cose si mettevano male: l’amore, d’altronde, è vero amore solo se è per sempre.

Marulla se n’è andato in una torrida domenica pomeriggio, come quelle in cui scendeva sul rettangolo verde. La notizia si sparge melliflua per la città e per l’intera provincia. Una crepa spezza il cuore dei cosentini che piangono l’idolo perduto. Proprio ora che era menzionato persino in una piece teatrale, proprio ora che la sua stessa schiatta, il figlio Kevin, continuava la tradizione di famiglia lavorando come team manager rossoblu. Il gran morto del popolo dei lupi lascia come unica, salvifica, consolazione un bagaglio di ricordi immenso. Quelli di un atleta trasformatosi in vessillo. Perché le bandiere sventoleranno, le bandiere non muoiono mai. Firmato Gigi Marulla.

Edoardo Trimboli

 

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