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Negri: «Io bomber grazie a Marulla»

COSENZA «Lui fece una scelta. Dettata dal cuore, dalle responsabilità e dalle aspettative che sentiva addosso, decise di rimanere fra la sua gente, in quella che considerava casa sua. Altrimen…

Pubblicato il: 20/07/2015 – 14:47
Negri: «Io bomber grazie a Marulla»

COSENZA «Lui fece una scelta. Dettata dal cuore, dalle responsabilità e dalle aspettative che sentiva addosso, decise di rimanere fra la sua gente, in quella che considerava casa sua. Altrimenti, uno come Gigi, avrebbe dovuto giocare in serie A per tanti anni e stufarsi, e avrebbe potuto benissimo farlo, le richieste le aveva». Marco Negri, ex bomber di razza del Cosenza Calcio divenuto celebre nel circuito internazionale della pedata grazie (anche) alle sue prodezze ai Glasgow Ranger, è uomo concreto che va subito al dunque. E soprattutto, queste cose non le dice, solo, ora che la tragedia della scomparsa di Marulla alimenta il circo dei media. Ora che le agiografie sul mito con la maglia rossoblu numero 9 si sprecano. Ripete le stesse identiche cose che solo qualche mese addietro aveva pronunciato candidamente nella conferenza stampa di presentazione della sua autobiografia (“Viaggio di una vita tra goal e dolori, colpi di testa e riflessioni”), quando il capitano più amato dai lupi, gli sedeva, sorridente, accanto nella sala stampa del San Vito: «Aveva subito risposto presente al mio invito, generoso come sempre» rammenta Negri «ed io tenevo alla sua partecipazione più di ogni altro».

Taciturno, introverso, quasi scontroso quando calcava gli stadi d’Italia e d’Europa, il puntero gentile di origini meneghine vive una seconda vita. Adesso è un comunicatore instancabile fra social network, ospitate televisive, le fatiche letterarie. Tanto che, quando sente parlare di “Gigi”, manco le ascolta le domande, parte con l’album dei ricordi quasi fosse una delle sue leggendarie sgroppate. «Sono venuto a giocare a Cosenza che ero ancora giovane, il mio trampolino di lancio. In quegli anni, quando dicevi Cosenza, lo sapevano tutti che piazza era. Conoscevo calciatori con un nome nell’ambiente tipo Zunico, Napolitano, De Rose, ma quando si parlava di Marulla, beh, con lui non c’era bisogno di presentazioni, era il re di Cosenza. Un leader silenzioso eppure determinante per gli equilibri dello spogliatoio, uno che dava l’esempio ai compagni. Intelligente, ironico, mai banale. Io avevo incontrato delle difficoltà e lui mi aiutò molto. Figurarsi che sopportava i miei scherzi dei petardi dentro le scarpette nuove… ecco, lì si vedeva la persona sensibile. Mi sento un privilegiato ad aver vissuto con lui quell’esperienza».

Un anno fantastico effettivamente. Stagione 1994-1995, Alberto Zaccheroni in panchina. Penalizzazione di nove punti per il Cosenza Calcio, che riesce non solo a conservare la cadetteria, quanto ad insediare le posizioni di vertice. Marco Negri quell’anno segna qualcosa come 19 reti, vice capocannoniere. «Parliamoci chiaro – dice l’ex attaccante silano – segnai così tanto soprattutto grazie a lui. Forte coi piedi, forte di testa, geniale nei movimenti. Era un giocatore sprecato per la B e lui lo sapeva». Una visione periferica del campo insomma, sapeva sempre dove sarebbe andato il pallone e dove trovare i compagni di squadra. Un po’ la dote indispensabile per un fuoriclasse secondo Michelle Platini. E se a qualcuno può sembrare azzardato l’accostamento, prenda appunti sui paragoni che fa Negri, idolo della folla nel più antico derby del mondo, l’old firm fra Rangers e Celtic. «Marulla è stato indubbiamente fra i dieci giocatori più talentuosi con cui ho avuto l’onore di giocare. Se avesse giocato ora in serie A avrebbe segnato almeno 15 o 20 goal, e avrebbe fatto altri 10 o 15 assist. Secondo voi gente come Lucarelli e Padovano come fece ad esprimersi in quella maniera?».

Mica male detto da uno che triangolava con Paul Gascoigne, Brian Laudrup e Gordon Durie e che alla fase preparatoria dei Mondiali del ‘98 non partecipò per via di un nefasto incidente ad un occhio. Più trascorre il tempo, però, e più la voce si mostra incerta. Quasi fatica a metabolizzare l’accaduto –«sono scioccato, ero in vacanza al mare quando ricevo messaggi e chiamate di vecchi compagni come Palmieri e Bonacci, per dirmi cosa, che Gigi non c’è più» – ritornando a più riprese all’ultima esperienza trascorsa insieme, la presentazione del suo libro a Cosenza. «Il giorno prima della conferenza stampa sono passato dalla sua scuola calcio, l’ho visto che trasmetteva la sua passione ai più giovani. Poi abbiamo trascorso alcune ore con altri compagni dell’epoca, non vi dico le risate. Ho rivisto anche il figlio Kevin, un ragazzo squisito, Gigi ha fatto un buon lavoro anche come padre. Sembrava essere tornati indietro nel tempo, tanto che quando l’ho visto in sella alla Harley Davidson gli ho detto: ma dove vai che non tocchi neanche per terra!».

Invece il tempo si è spezzato. «Non riuscirò a scendere giù per i funerali. Ma anche noi vecchi amici dobbiamo tributargli il saluto che merita. Mi auguro che le istituzioni (in queste ore i boatos di Palazzo dei Bruzi raccontano che sarebbe pronta una proposta di intitolazione dello stadio per il tamburino di Stilo, ndr), la società, i tifosi, raccolgano il mio invito innanzitutto a ritirare la maglia numero 9 del Cosenza che senza di lui non esiste e poi ad organizzare una partita commemorativa il cui incasso venga devoluto a una causa che avrebbe fatto piacere a Gigi. Marulla va ricordato nel suo habitat naturale, un campo di calcio». Va ricordato da vivo cioè, come tutti gli idoli della porta accanto. Proprio come Gigi Marulla, il re di Cosenza

Edoardo Trimboli

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