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GAMBLING | I tentacoli dei clan sul gioco on line

REGGIO CALABRIA C’è una nuova frontiera colonizzata dagli appetiti dei clan. Non è tracciata sulle mappe, si dipana nel mondo liquido della finanza on line, aggira regole e normative statali, gioca…

Pubblicato il: 22/07/2015 – 13:16
GAMBLING | I tentacoli dei clan sul gioco on line

REGGIO CALABRIA C’è una nuova frontiera colonizzata dagli appetiti dei clan. Non è tracciata sulle mappe, si dipana nel mondo liquido della finanza on line, aggira regole e normative statali, gioca con le diverse normative, ma pesca a piene mani negli istinti più viscerali di una popolazione piegata da crisi e disoccupazione, che cerca nel colpo di fortuna, una via d’uscita ad un presente di miseria: il gaming on line. A svelarlo è stata l’operazione Gambling, coordinata dal procuratore capo Federico Cafiero de Raho e dai pm Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino, che hanno saputo mettere insieme e coordinare gli sforzi investigativi di Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e Dia. In 28 sono finiti in manette, altri 13 ai domiciliari, in dieci sono stati destinatari di misure che vanno dall’obbligo di firma al divieto di dimora, ma soprattutto sotto sequestro sono finiti beni per oltre 2 miliardi di euro, incluse note società di gambling, come Betuniq, e più di 1500 “centri di trasmissione dati”, fondamentali elementi di raccolta nel sistema. Numeri che danno il metro di un’indagine monumentale, seguita da vicino dalla Dna – rivela il procuratore nazionale Franco Roberti, che ha voluto essere a Reggio nel giorno dell’esecuzione – che ha mostrato come il settore sia divenuto preda dei clan reggini, fotografati per l’ennesima volta nella militarizzazione unitaria e coordinata di business del tutto nuovo, ma aggredito con regole e meccanismi che – come svelato dall’operazione Meta – sono stati decisi ormai decenni fa e tali rimangono. Nuovi affari, vecchi metodi, storici obiettivi. Il mondo grande dei casinò on line, sottratti al controllo dell’Aams, l’agenzia che in Italia dovrebbe vigilare sul settore, per i clan è diventato una gigantesca lavatrice che – al di là delle perdite che ogni operazione di riciclaggio impone – ha permesso di rendere utilizzabili milioni e milioni di euro di provenienza illecita. «Non c’è stato alcun controllo da parte di chi avrebbe dovuto eseguirlo. E’ necessario porre delle regole al gioco online altrimenti rischia di diventare un gigantesco e incontrollabile meccanismo di riciclaggio». E tale era diventato per gli uomini del clan di Reggio.
 
LE REGOLE DEL SISTEMA Il meccanismo utilizzato era fondamentalmente semplice, ma geniale nella sua meticolosa applicazione. Alla base, c’era una consistente schermatura dell’effettiva natura delle imprese di scommesse e giochi on line, garantita da una serie di società formalmente collocate all’estero, come pure dallo spostamento oltre confine dei server necessari per connettersi al sistema e giocare. Uno stratagemma semplice, che le norme oggi in vigore non sono stato di grado di bloccare, ma che ha permesso ai clan di ripulire enormi quantità di denaro e onsistenti profitti, poi reinvestiti per l’acquisizione di ulteriori imprese e licenze estere e nazionali per l’esercizio ancora più esteso e remunerativo delle attività. Alla base, c’era un rosario di Centri di Trasmissione Dati (Ctd), dove contrariamente a quanto impone la norma era possibile fare giocate e puntate in contanti. Un vero e proprio “canale parallelo” per il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, grazie al quale «tutte le giocate avvenivano direttamente in contanti, attraverso il conto aperto dalla società estera al punto di commercializzazione». Ogni centro era infatti collegato a “bookmaker” esteri (autorizzati a operare la raccolta a distanza in forza di apposite licenze rilasciate dalla competente Autorità maltese) da un apparente “contratto di prestazioni di servizi”, cui settimanalmente trasferiva tutte le puntate che i giocatori versavano in denaro direttamente in agenzia, al netto di perdite e vincite, come della provvigione che rimaneva alla stessa agenzia. Un meccanismo – ha continuato il procuratore – che faceva sì che «il giocatore passasse attraverso la piattaforma di gioco senza essere identificato», ma anche «all’evasione di cifre iperboliche per quanto riguarda le imposte dirette e a un gigantesco giro di riciclaggio». Dietro i presunti bookmaker tuttavia, c’era in realtà la direzione amministrativa dell’associazione, allocata all’estero, ma con tutte le caratteristiche proprie di una locale impresa mafiosa.
 
IL CONTAGIO A diffondere a macchia d’olio le agenzie “infettate” dai clan è stata una rete piramidale e rigidamente strutturata che al suo vertice vedeva in primo luogo Mario Gennaro. Definito nei brogliacci dell’inchiesta da Francesco Ripepi (alias Ciccio Tizmor) come uno che da ragazzo era «costretto a rubare i motorini perché non aveva neppure i soldi per comprarsi le calze», Gennaro ha saputo far del suo vizio – che per il pentito Carlo Mesiano lo aveva addirittura «spesso fatto finire sotto usura», la chiave del successo. Uomo di Franco Giorgio Benestare, uno dei cinque generi del boss Giovanni Tegano, ha saputo fare carriera nel settore delle scommesse, diventando non solo country manager della società maltese Betuniq, ma addirittura proprietario occulto della società. Un ruolo che ha messo a disposizione del clan, che in cambio gli ha affidato la gestione dell’intero sistema.
 
IL CENTRO DI COMANDO «Lui era il referente unico – sottolinea il comandante provinciale dei carabinieri, Lorenzo Falferi – e stabiliva a chi assegnare i centri scommessa anche tenendo in conto della spartizione territoriale classica delle ‘ndrine reggine». Il piatto era ricco e come stabilito dalle regole forgiate al fuoco della seconda guerra di ‘ndrangheta, i Tegano – di cui Gennaro è per gli inquirenti espressione – non mangiavano da soli. Da Archi, i centri scommesse e circoli ricreativi gestiti dalle ndrine si erano estesi fino alla provincia di Reggio, a Melito Porto Salvo. Ma, per quanto cambiasse la zona, il sistema – spiega il questore – rimaneva identico ovunque. «In ogni agenzia – chiarisce – veniva creato un banco a parte, clandestino, che aveva la finalità di raccogliere le giocate e i contatti. Settimanalmente le giocate venivano trasferite a Malta tramite bonifici bancari, senza nessuna tracciabilità. Coloro che non provvedevano alla regolare consegna del danaro venivano pesantemente minacciati».
LA PIRAMIDE DEL GAMBLING C’era un gruppo dirigente di fedelissimi incaricato di tenere le relazioni tra la struttura tecnico-informatica allocata all’estero e quella amministrativa, tutta saldamente allocata a Reggio Calabria, che ha gestito le affiliazioni delle sale giochi e la raccolta delle scommesse sul territorio. In “patria” a coordinare il lavoro delle agenzie, terminale ultimo del sistema, erano i cosiddetti master, incaricati di raccogliere settimanalmente quanto messo insieme dalle agenzie, ma anche di estendere a macchia d’olio il sistema. In fondo alla piramide invece, c’erano i titolari dei singoli centri, cui venivano aperti uno o più “conti di gioco” (conto “master” o conto di gioco intestato a soggetto compiacente) necessari per consentire on line l’effettuazione delle scommesse o la partecipazione a tornei di poker da parte di una terza persona (il “cliente finale”) che non ha un conto gioco proprio. In pratica, il cliente, senza registrarsi, effettua la puntata tramite un “conto di gioco” nella disponibilità dell’agenzia che gli rilascia una ricevuta. L’eventuale vincita viene, poi, pagata dal Punto di commercializzazione (Pdc) in contanti (anticipando, quindi, le relative somme per conto del “bookmaker”, che in ogni caso ha messo a disposizione dell’agenzia un “fido” per consentire le giocate).
 
RICICLAGGIO FATTO IN CASA Un sistema che permetteva non solo di aggirare in toto la normativa che obbliga all’identificazione e vieta transazioni in contanti, ma anche di mascherare puntate che altro non erano che piccole o grandi operazioni di riciclaggio. «C’è una assoluta sproporzione fra i giganteschi volumi di denaro giocato e le percentuali di occupazione e reddito. Mettendo insieme i dati, ne può emergere che una consistente economia occulta. Nonostante un Pil bassissimo, tanto la provincia di Reggio, come la Calabria in generale presentano un volume di gioco assolutamente inspiegabile», chiarisce al riguardo il comandante provinciale della Guardia di finanza, Alessandro Barbera, incalzato dal capocentro Dia che completa il dato: «L’incidenza del volume di giochi sul Pil calabrese è pari a 800mila euro, cioè circa il 10% del Pil regionale». Numeri che fanno il paio con le cifre vorticose che i master erano chiamati settimanalmente a gestire, se è vero che a casa dei uno dei master arrestati questa notte sono stati trovati160mila euro di cui 20mila nascosti nella lavatrice. «Voleva fare un lavoro di lavaggio completo, ha commentato ironicamente Barbera». Episodi che tuttavia non cancellano il gravissimo spaccato che emerge dall’operazione, che ha svelato un sistema scientifico in grado di sottrarre imposte per centinaia di milioni di euro all’Erario, ma soprattutto di immettere nell’economia legale una mole non ancora quantificabile di denaro frutto di proventi illeciti, ma formalmente immacolato. Denaro che per gli inquirenti solo potrebbe venire dal mondo grande del narcotraffico, di cui la ‘ndrangheta è da decenni monopolista nella gestione e distribuzione. Un’ipotesi frutto di un’intuizione investigativa – già emersa e trattata nell’ultima relazione annuale della Dna, dove si dettaglia la specializzazione funzionale dei mandamenti – su cui si sta ancora lavorando, ma che presto – lasciano intendere inquirenti e investigatori – potrebbe diventare molto più specifica e dettagliata.
 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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