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GAMBLING | Mariolino, l'homo novus della 'ndrangheta

REGGIO CALABRIA L’homo novus della ‘ndrangheta, il rampollo di Archi che veste il doppiopetto dopo essersi spolverato di dosso i segni quasi tribali delle faide, per diventare il volto e il braccio…

Pubblicato il: 22/07/2015 – 17:26
GAMBLING | Mariolino, l'homo novus della 'ndrangheta

REGGIO CALABRIA L’homo novus della ‘ndrangheta, il rampollo di Archi che veste il doppiopetto dopo essersi spolverato di dosso i segni quasi tribali delle faide, per diventare il volto e il braccio del clan in un settore remunerativo tutto da colonizzare. È questo per gli inquirenti Mario Gennaro, ex picciotto quasi scivolato in gioventù sulla grana giudiziaria legata a una milionaria rapina a un portavalori, inciampato ma mai caduto per inchieste che lo indicavano come uomo del clan Tegano, divenuto simbolo di quella generazione di rampolli di ‘ndrangheta che – scrive il gip – «non aspira più a vivere come i loro nonni, isolati in casolari abbandonati dell’entroterra aspromontano, coltivando cicoria, con la coppola in testa e la lupara sotto braccio: studiano in prestigiose scuole ed università delle grandi città, conoscono le lingue, usano gli strumenti informatici con estrema competenza, frequentano sin da bambini gli ambienti “bene” della buona borghesia, conseguono ambiti titoli di studio e posti di comando, intrecciano legami con la massoneria deviata, sanno di poter contare su intere schiere di professionisti a loro disposizione (politici, medici, avvocati, magistrati, commercialisti, funzionari pubblici, imprenditori)».

 

EVOLUZIONE PERSONALE SPECCHIO DELL’INVOLUZIONE SOCIALE Gennaro non ha studiato in scuole prestigiose, non è un uomo colto, ma ha saputo rendere la propria malattia – il poker – un business per il clan, arrivando quasi a dare veste para-legale all’intero affare, seguendo logiche secondo le logiche imprenditoriali di massimizzazione del profitto tipiche delle multinazionali del settore. Niente violenze, omicidi, sangue, la ‘ndrangheta, che tramite Gennaro si prende il settore dei giochi on line, ricorre alla minaccia solo quando non ne può fare a meno, fa pesare il proprio nome solo quando si trova di fronte insospettabili resistenze e solo – continua il gip – «per incutere nel destinatario quel minimo di metus necessario e sufficiente ad imporre la diffusione dei brand la cui commercializzazione interessa l’associazione».

Un cambiamento di approccio che per il giudice risponde a un cambiamento sociale, che le ‘ndrine hanno probabilmente saputo vedere ancor prima delle istituzioni, costrette oggi ad arrancare. Per il gip, «oggi è la società – il professionista, il politico, il disoccupato di turno – che ha bisogno della ‘ndrangheta, cercandola e scendendo a patti con i suoi esponenti, offrendo in cambio ciò che possiede – prestazioni professionali, informazioni riservate, posti di comando, appalti, voti, libertà –, per la sua ormai disvelata capacità di aprire porte (quelle della politica, della sanità, del credito, dell’imprenditoria, delle istituzioni) altrimenti troppo spesso sbarrate. Gli ‘ndranghetisti oggi si siedono al tavolo delle decisioni, prendono parte attiva alla spartizione della torta, sono interlocutori legittimati: non c’è più bisogno di sparare, di uccidere, di estorcere danaro. I tempi sono cambiati. La società – che per calcolo, comodità, ricatto, interesse, ignoranza, debolezza isituzionale si è fatta infiltrare – la eleva a sua interlocutrice privilegiata, offrendole la possibilità di curare da vicino e direttamente i suoi interessi. E’ un tragico patto di mutuo soccorso».

 

STRATEGIE AL PASSO CON I TEMPI Un copione socialmente devastante, che Mario Gennaro e il suo gruppo hanno saputo interpretare con perizia, realizzando quella parabola ascendente, che dalla costituzione della società Larabet – intestata a vari prestanome di comodo, passando attraverso una fase intermedia di utilizzo di siti di gioco palesemente illeciti (quelli con suffisso “.com”) – è evoluta nella costituzione del marchio apparentemente limpido Betuniq. Un obiettivo raggiunto dopo il trasferimento della sede operativa a Malta, ma anche attraverso la messa a punto di una strategia giudiziaria che dal tribunale ordinario li ha portati a perorare il caso delle società, all’epoca escluse dall’assegnazione delle concessioni governative per i giochi on line previste dal bando Monti, persino davanti alla Corte di Giustizia Europea. Eppure quella società, i cui “diritti” con tanta passione erano stati difesi, era in tutto e per tutto un’impresa di ‘ndrangheta, con testa in Italia, ma tentacoli a Malta, in Romania, Austria, Spagna, Serbia. E Mario Gennaro, quasi personificazione del self made man, partito da un misero internet point a Reggio Calabria per approdare prima a Padova, quindi a Roma e poi a Malta, divenendo nel frattempo country manager dei maggiori siti per il gioco on line, da Sport and Games, passando per Goalsbetitalia, fino al sito maltese Betuniq, è in tutto e per tutto un uomo di ‘ndrangheta.

 

BUSINESS PER TUTTI A dimostrarlo – affermano gli inquirenti – è la stessa strutturazione dell’organizzazione da lui voluta per diffondere il gioco on line a Reggio e non solo, ispirata direttamente dalle regole di spartizione degli appalti volute dal direttorio – massimo organismo decisionale in città – all’indomani della seconda guerra di ‘ndrangheta. Un conflitto divenuto madre di nuovi assetti, ma soprattutto di nuove regole in primo luogo per quel che riguarda la gestione dei profitti degli appalti, divisi secondo logiche prestabiliti fra tutte le cosche. Ecco perché, i suoi luogotenenti sul territorio – affermano gli inquirenti – sono espressione delle cosche che su quel territorio insistono. C’è Cristian Fortunato Costantino per la cosca Pesce, Venerando Puntorieri per i Lo Giudice, Giovanni Ficara, Rocco Ficara, Terenzio Minniti e Vincenzo Nettuno per i Ficareddi, Antoniono Alvaro per l’omonimo clan e Antonio Novella per i Cordì. Un sistema collaudato che vede in Gennaro il fulcro e al contempo garante dell’infiltrazione in un settore estremamente remunerativo, grazie anche al ruolo di reale – sebbene occulto – proprietario della società Betuniq. Al pari di Gianluca Favara, ambasciatore e broker dei clan, chiamato a conciliare diversi interessi come a mediare scontri e incomprensioni fra cosche che non possono più – proprio per le regole che si sono date – essere rivali, così Mario Gennaro è il mediatore d’affari che si preoccupa che tutti abbiano la fetta che spetta loro.

 

IL PROGETTO DEI CLAN «La ‘ndrangheta – spiega il gip – promuove Mariolino da Archi, quello allevato dai Tegano, al manager Gennaro, dominus di Betuniq» in ragione di una strategia complessiva, propria dell’intera organizzazione, che punta a mettere le mani non solo su enormi potenziali profitti, ma su un business utile per movimentare e “lavare” quell’enorme mole di liquidità altrimenti ferma, perché frutto di attività illecite. «Dietro Mario Gennaro – si legge nelle carte – c’è la ‘ndrangheta; la ‘ndrangheta che lo ha prima allevato, poi scelto ed elevato, in ragione delle caratteristiche personali di cui si è scritto e del suo profilo criminale di tutto rispetto, a referente e vertice dell’articolazione operativa dedita all’infiltrazione del mercato dei giochi e scommesse a distanza e della rete commerciale che fa capo alla predetta organizzazione». Una rete che si è imposta grazie a uomini e mezzi delle ‘ndrine, ma che stava per tentare il definitivo salto di qualità: «Una graduale ma inesorabile strutturazione dell’impresa Betuniq in termini rigorosamente aziendalistici, al chiaro fine di “ripulire” il marchio e la propria stessa immagine, in modo tale da conferire loro un notevole prestigio commerciale, dotandoli di una patente di apparente affidabilità imprenditoriale». Ma per quanto l’operazione sia quasi riuscita a legali e professionisti al soldo di Gennaro, sono tanti gli elementi che consentono di affermare che “Mariolino” è uomo dei Tegano e a loro e alla ‘ndrangheta reggina tutta è riferibile il suo business.

 

MARIOLINO UOMO DELLE ‘NDRINE Lo dicono le ingenti risorse finanziarie impiegate da
Mariolino per portare a termine l’affare Larabet, pietra angolare dell’intero business, concluso anche grazie all’intervento di Stefano Costantino, cognato di Paolo Polimeni, elemento di spicco degli arcoti. Lo dice il radicale cambiamento di status del ragazzetto di Archi, emerso ad esempio dalle conversazioni di sodali come Francesco Ripepi, che riottoso ad adeguarsi al nuovo corso aziendalista, si lamenta con Luca Gagni «Mario mi fa tu devi capire che non c’è più il Mario di una volta ormai siamo un’azienda dice… mi ha fatto un paragone compare che io sono saltato in aria “lo stesso che il Presidente del Consiglio dice va e si prende il caffè con quelli con cui andava a scuola». Un discorso inaccettabile per Ripepi, che a brutto muso avrebbe risposto «vai a rubare i motorini non avevi soldi per comprarti le calze.. ti nascondevi». Un dato importante per gli inquirenti, perché totalmente sovrapponibile alle dichiarazioni di pentiti come Ciccio “Tizmor” o Carlo Mesiano. Ma a dire che Gennaro sia uomo dei Tegano sono anche collaboratori del calibro di Roberto Moio e Consolato Villani, le cui dichiarazioni sono state giudicate troppo generiche e prive di riscontri nel procedimento Archi, ma oggi acquistano nuovo peso alla luce di quanto messo a verbale da Enrico De Rosa.

 

LE RIVELAZIONI DEL PENTITO DE ROSA Il più recente collaboratore gestito dalla Dda per il gip è un «figlio tipico della buona borghesia reggina» che ha però messo i propri talenti al servizio del boss di di uno dei più lungimiranti ed acuti dirigenti della locale criminalità organizzata, l’erede di don Mico Libri, Nino Caridi, che ne ha fatto il suo immobiliarista di fiducia. È dunque per mano di un boss di primo livello che De Rosa entra a contatto e impara a conoscere il gotha della ‘ndrangheta reggina. Per questo, quanto ha appreso e riferito ai magistrati su Mario Gennaro e i suoi affari, per i magistrati ha un peso. Di lui, dice di aver saputo da Mico Sonsogno, luogotenente dei Caridi che «girava soldi per i Tegano…», cui era totalmente riferibile l’affare Betuniq. «Mico – mette a verbale De Rosa di fronte ai magistrati – mi raccontò che il Betuniq nella zona di Santa Caterina, piuttosto che in un’altra zona, veniva spinto perché si doveva spingere…perché Mariolino era una persona dei Tegano… omissis… hanno creato anche una grande rete di espansione di Betuniq anche in Italia… omissis… sponsorizzata sul territorio dalla ndrangheta… omissis… preferendo Betuniq a qualsiasi altra struttura». Dichiarazioni che si incastrano con quelle di Villani e Moio, divenendo fonte di prova granitica contro “Mariolino”, homo novus del clan Tegano, ma al pari dei vecchi condannato a percorrere una strada che da Archi lo ha portato alla cella del carcere.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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