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REGGIO CALABRIA È un testimone di giustizia che ha puntato il dito condannare i suoi estorsori, vive sotto scorta per essere stato vittima di un tentato omicidio, ma in passato per gli inquirenti «…

Pubblicato il: 22/07/2015 – 18:03
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REGGIO CALABRIA È un testimone di giustizia che ha puntato il dito condannare i suoi estorsori, vive sotto scorta per essere stato vittima di un tentato omicidio, ma in passato per gli inquirenti «aveva goduto a lungo della protezione della cosca di ndrangheta degli Zindato», l’imprenditore Gaetano Caminiti, il primo ad aprire uno squarcio sugli interessi delle ‘ndrine nel gaming on line. Zio acquisito del boss Checco Zindato, che – spiegano i pm – «operava nel settore in comunione di intenti e d’interessi con il magnate cittadino della gestione e distribuzione di macchine video-gioco, Gioacchino Campolo», Caminiti è stato considerato per lungo tempo «protetto dalla cosca Zindato ed in particolare da Marco Puntorieri (poi ucciso per un regolamento di conti all’interno della cosca di appartenenza)», anche a causa di una testimonianza non troppo convincente al processo contro i parenti, che gli è costata una trasmissione di atti in procura che allo stato non ha ancora avuto seguito.  Ma con l’arresto del nipote e la caduta del “re dei videopoker”, l’imprenditore si è trovato esposto agli “appetiti” delle altre cosche di ndrangheta che, abbandonato il vetusto settore delle “macchinette”, si erano lanciate nella distribuzione di quello – molto più remunerativo, liquido, evanescente ed eclettico – dei giochi e scommesse on-line. È proprio allora che si creano le “condizioni ambientali” – afferma il pm e conviene il gip – perché «loschi personaggi, spalleggiati dai Ficara Latella, si facessero avanti per accaparrarsi il controllo del suo punto scommesse, il quale si presentava particolarmente appetibile perché munito di una regolare concessione governativa ed allocato in posizione strategica in uno dei quartieri più popolosi della città». Da Caminiti si presentano in tre, Gennaro Gennarini, Vincenzo Nettuno e Terenzio Minniti, tentando di imporre uno dei software illegali di gioco on line che – si scopre oggi – già all’epoca faceva parte dei prodotti commercializzati da Mario Gennaro. Per questo, spiegano gli inquirenti, la tentata estorsione a Caminiti – che pagherà il suo no con una serie di danneggiamenti e un tentato omicidio – non può considerarsi un episodio “isolato, estemporaneo e casuale”, ma al contrario un atto «paradigmatico, pilota dal punto di vista giudiziario, e sintomatico di un vero e proprio metodo professionale di sponsorizzazione criminale nella distribuzione di tale genere di prodotti». Un episodio risalente nel tempo ma che conferma il modus operandi dell’organizzazione che allora come oggi commercializza e diffonde parallelamente software di gambling leciti ed illeciti. Ma a testimoniare quanto l’indagine Azzardo si fosse pericolosamente avvicinata a scoperchiare l’intero sistema, come pure quanto – forse inconsapevolmente pericolose – fossero state le dichiarazioni di Caminiti è l’intervento di Francesco Ripepi, spintosi addirittura a rilasciare false dichiarazioni pur di tutelare l’intero sistema messo a rischio dall’indagine. «Il gesto di Ripepi – spiega il gip – si spiega e va letto unicamente per la necessità di scongiurare l’imminente e concreto pericolo di ulteriori e compromettenti approfondimenti dell’A.G., che avrebbero potuto mandare in fumo i lucrosi affari in corso e le prospettive di illecito arricchimento, se non la stessa sussistenza della organizzazione criminale facente capo a Mario Gennaro».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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