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Serve più impegno per i poveri

Sono almeno otto milioni i poveri in Italia, di cui quattro assolutamente poveri. Persone, queste ultime, non in grado di assicurarsi uno standard di vita minimamente accettabile. A segnalarlo è l’…

Pubblicato il: 25/07/2015 – 16:52

Sono almeno otto milioni i poveri in Italia, di cui quattro assolutamente poveri. Persone, queste ultime, non in grado di assicurarsi uno standard di vita minimamente accettabile. A segnalarlo è l’Istat nel rapporto 2014 che, a differenza degli anni precedenti – magra consolazione, almeno per i calabresi – evidenzia che il livello di povertà è stabile rispetto agli anni 2012 e 2013, quando era in crescita. Quello che questa volta colpisce è l’intensità del divario tra Nord e Sud: non si esce dal tunnel sociale che condanna le famiglie indigenti a rimanere tali. Questo significa che non ci si può cullare sugli allori, ma c’è ancora molto da fare, come ha dovuto ammettere il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Per quanto riguarda la Calabria c’è da rilevare che si tratta della Regione che ha il triste primato di essere la più povera della penisola. Secondo l’Istat, la nostra Regione passa da un dato di incidenza del 26,6 del 2013 al 26,9 dell’anno successivo, attestandosi come la prima in Italia in termini di povertà relativa. È, purtroppo, la conferma di non aver guadagnato che una “maglia nera”. Anche se “aver compagni al duol” non è un conforto, assieme alla Calabria c’è quasi tutto il Mezzogiorno, a parte l’Abruzzo che ha una incidenza di povertà quasi simile al resto del Paese, cioè il 12,7%. La sorpresa viene fondamentalmente dalla Basilicata che, negli anni scorsi, sembrava discostarsi dal novero delle Regioni del Sud, mentre nel 2014 si è attestata sul 25,5 di povertà, di pari passo, o quasi, con la Sicilia, che ha raggiunto il 25,2%. Oltre all’Abruzzo si “salvano” il Molise col 17,6 e la Sardegna col 15,1%.
Al primo posto, quanto a povertà, ma sarebbe meglio dire ricchezza, è il Trentino Alto Adige col 3,8%. A ruota, è seguito dalla Lombardia col 4 e dall’Emilia Romagna con il 4,2.
L’indagine del principale istituto di statistica italiano si basa sulle spese delle famiglie. Dal report è venuto fuori che ci sono 1 milione e 400 mila famiglie, quasi il 6% di quelle residenti, in condizione di povertà assoluta. Due milioni e 650 mila le famiglie in condizioni di povertà relativa. La povertà assoluta è calcolata sulla valutazione di un paniere di beni e servizi, considerati essenziali per non cadere in gravi forme di esclusione sociale. Si tratta dell’alimentazione adeguata, della disponibilità di un’abitazione, adeguata alla dimensione del nucleo familiare, riscaldata, dotata dei servizi principali, della possibilità di dotarsi del minimo indispensabile per vestirsi, istruirsi, mantenersi in buona salute. Nella povertà assoluta rientra chi vive sotto la linea della povertà, che varia di anno in anno tenendo conto dei livelli dei consumi, dell’area e del numero dei componenti il nucleo familiare. La misura della povertà relativa individua le famiglie povere tra quelle che determinate spese possono permettersele. Sotto la soglia di 1.041 euro, il nucleo familiare viene considerato in povertà relativa. In Italia questa condizione riguarda oltre 7 milioni di persone, anche se fra queste ce ne sono oltre 4 milioni che stanno ancora peggio perché non possono consentirsi quello che viene considerato il livello minimo di sussistenza.
In sostanza, assoluta o relativa, un dato è certo. C’è una parte considerevole del Paese che deve fare conti ogni mattina con quello che può o non può spendere. Ecco perché occorre una forte azione di contrasto, ha sostenuto la calabrese Vera Lamonica, ex segretario della Cgil calabrese. E’ vero, come diceva Dostoevskij, in “Umiliati e offesi”, che «chi è sazio non può capire chi è affamato, ma è altrettanto vero che un affamato non capisce un altro affamato». Ecco perché ha ragione chi sostiene che occorra parlare di assicurare un reddito minimo a quanti si trovano a fare i conti la povertà assoluta. Chi lo avrebbe mai immaginato che 15 anni dopo l’inizio del 2000 avremmo dovuto fare i conti con questi dati? Al povero, comunque, va sempre male. Chi può fare (o deve), di fronte a questi dati deve dar corso a lunghi momenti di riflessione e di conseguente impegno.

 

*giornalista

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