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La piccola rivoluzione di (L)imitazione

Mantenere una promessa è una delle regole più elementari delle relazioni sociali. Che siano rapporti personali o collettivi – una coppia, una famiglia, un elettorato di riferimento – le promesse ma…

Pubblicato il: 26/07/2015 – 12:26

Mantenere una promessa è una delle regole più elementari delle relazioni sociali. Che siano rapporti personali o collettivi – una coppia, una famiglia, un elettorato di riferimento – le promesse mantenute sono i mattoni – dice la letteratura di settore– su cui si costruisce l’impasto di fiducia e investimento che fa da cemento al prosieguo del rapporto stesso. La Calabria in generale e Reggio in particolare lo sanno bene. Sono territori che hanno vissuto di piccole e grandi promesse – di cambiamento, di costruzione, di sviluppo – sistematicamente e drammaticamente deluse, tanto da divenire argomento di base per chi solo altrove vede il futuro, per chi ha già dato per persa la battaglia per questa terra. Con buona pace di chi su quelle speranze deluse continua a ingrassare, perché suscitate strumentalmente solo per soddisfare un’ambizione personale. Per quanti partiranno, cederanno, abbandoneranno la battaglia – vinti per l’ennesima volta dall’ennesimo condottiero di paccottiglia – altri arriveranno da poter illudere. Da poter usare. Da poter deludere.
Questa per molto, troppo tempo è stata Reggio, è stata la Calabria.
Ed è proprio per questo che il lavoro portato avanti da un anno a questa parte dal collettivo (L)imitazione è una piccola, necessaria rivoluzione.
Undici mesi fa musicisti, appassionati di musica e gente fondamentalmente stanca di adattarsi a quanto le venisse proposto, hanno deciso di provare a costruire un percorso alternativo, pensato per chi non ha voglia di conformarsi all’offerta musicale e “culturale” un tanto al chilo, buona solo per ingrassare le casse dei locali. Hanno messo insieme competenze, contatti, disponibilità, ma soprattutto voglia di fare, ripromettendosi di costruire una cosa semplice e forse per questo rivoluzionaria: un percorso di serate in cui proporre quanto le band reggine producano, i cui ingressi andassero a finanziare la costruzione di un festival indipendente, svincolato dalla dittatura degli sponsor commerciali o istituzionali che fossero.
I mesi sono passati, le serate ci sono state – puntuali e con il passare del tempo sempre più partecipate – e il festival pure. A Reggio Calabria, piazza per decenni cancellata dalla mappa della musica indipendente nazionale, sono arrivate band che in molti avrebbero fatto chilometri per ascoltare, come i La Fine, Le Sigarette, i Duppy Rockers e i Kutso. E quelle band, scese dal palco, hanno detto «mi sento a casa». A Reggio Calabria, è stato costruito evento deciso solo sulla base della qualità musicale e non del peso di uno sponsor o di un manager. E chi c’era ha detto «non lo avrei mai creduto possibile». A Reggio Calabria, si è dimostrato concretamente che il lavoro collettivo, portato avanti con costanza, coerenza, testardaggine e umiltà, può portare a benefici per tutti. Per chi per mesi si è sbattuto per impostare le attività, come per chi ha semplicemente versato il suo obolo all’ingresso, per chi sogna di vivere di musica, come per chi la musica la ascolta distrattamente di sottofondo. E tutti, anche chi quel festival lo ha costruito su ore, giorni, settimane strappati a famiglie, lavoro, riposo, sono stati felicemente travolti, forse addirittura sorpresi, da quanto lo sforzo collettivo possa realizzare.
In una terra in cui spesso si sente dire che la cultura è l’unico antidoto alla strapotenza delle ‘ndrine, ma se confina il raggio a noiosi e politicamente corretti eventi, ospitati da quei palazzi istituzionali che ancor più spesso si scoprono contaminati da criminalità e malaffare, i ragazzi di (L)imitazione hanno dimostrato – in modo concreto ed inequivocabile – che dal basso, senza chiedere permesso né dire grazie a nessuno, si può costruire qualcosa che sia occasione di crescita per tutti. Con la semplicità di chi si ripromette un obiettivo e lavora con costanza per raggiungerlo, hanno dimostrato che svendersi non è obbligatorio, scendere a compromessi non è necessario, che non adeguarsi, non piegare la testa, non adattarsi si può. I ragazzi di (L)imitazione hanno dimostrato che la libertà anche in questa terra è possibile. Ed è un messaggio che va ben oltre la musica e la cultura. È una proposta di metodo.
È fondamentalmente per questo motivo che in tanti, specialisti delle promesse a buon mercato e professionisti del «purtroppo non abbiamo potuto fare altrimenti», oggi dovrebbero levarsi il cappello di fronte alla lezione di un collettivo nato senza il proposito di insegnare nulla a nessuno, ma che ha fatto imparare molto a tanti.
È fondamentalmente per questo motivo che oggi (L)imitazione è metodo e modello di rivoluzione. Perché l’unica schiavitù è proprio la limitazione allo stato di cose corrente. Ma l’alternativa c’è, esiste, si può costruire a patto di mettersi in gioco e non risparmiarsi. Ed è stato dimostrato.

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