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"Cosa mia", l'assoluzione diventa ergastolo

REGGIO CALABRIA Un’assoluzione trasformata in ergastolo, alcune nuove assoluzioni, una lieve revisione al ribasso di alcune delle pene inflitte e molte conferme delle condanne disposte in primo gra…

Pubblicato il: 27/07/2015 – 13:17
"Cosa mia", l'assoluzione diventa ergastolo

REGGIO CALABRIA Un’assoluzione trasformata in ergastolo, alcune nuove assoluzioni, una lieve revisione al ribasso di alcune delle pene inflitte e molte conferme delle condanne disposte in primo grado dal Tribunale di Palmi. Nonostante la riforma della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, supera con successo lo scoglio del secondo grado il procedimento Cosa mia, scaturito dall’inchiesta del pm Roberto Di Palma che per prima svelato le infiltrazioni dei clan Gallico-Bruzzise-Morgante e Sciglitano nei lavori dell’A3.

 

NUOVE STATUIZIONI Una sentenza che si è rivelata devastante per Antonio Ciliona, assolto in primo grado e condannato al carcere a vita in appello, mentre era stato condannato all’ergastolo e rimedia “solo” 16 anni di carcere Salvatore Morgante, in primo grado condannato a 16 anni. Incassano invece un’assoluzione piena delle condanne in precedenza inflitte Alfredo Morabito, punito con 10 anni in primo grado, Carmela Carbone e Vincenza Surace, che in prima istanza avevano rimediato 9 anni, Fortunata ed Elena Bruzzise, per le quali i giudici avevano stabilito una pena a 7 anni ciascuna, Pasquale Galimi in precedenza condannato a 5 anni e 6 mesi e Antonino Campagna, Domenico Campagna assolto, Maria Ditto e Fortunato Princi, tutti in precedenza condannati a 2 anni. Si vedono invece riformate, più o meno sostanzialmente le pene loro inflitte, Giuseppe Bruzzise, che passa da venticinque a 20 anni, Rocco Gallico, che incassa 19 anni di reclusione in luogo dei ventuno in precedenza rimediati, mentre è di 17 anni e 5 mesi la pena inflitta a Teresa Gallico, in precedenza condannata a 22 anni e 9 mesi di reclusione. Incassa solo una lieve riduzione della pena rimediata Antonio Bruzzise, condannato in primo grado a sedici anni e a 15 anni e 8 mesi in appello, mentre passa da diciotto anni e sei mesi a 16 anni e 9 mesi Filippo Morgante. Per Antonino Gallico, condannato in prima istanza a diciannove anni e sei mesi di reclusione, i giudici della Corte d’assise d’appello hanno deciso una pena di 14 anni e 2 mesi, mentre strappa la riduzione di un anno di condanna Domenico Sciglitano, che passa da diciassette a 16 anni di carcere, mentre è di 12 anni e 3 mesi di reclusione in luogo dei quattordici anni e tre mesi in precedenza rimediati la pena disposta per Maria Carmela Surace. Per Carmelo Sciglitano, in passato condannato a quindici anni di carcere, i giudici hanno deciso una condanna a 12 anni di reclusione, mentre passa da quattordici a 11 anni di reclusione Matteo Gramuglia 11 anni. Medesima pena è stata decisa in secondo grado per Antonio Ciappina, condannato in precedenza a diciotto anni, mentre con 10 anni di carcere è stato punito Vincenzo Sciglitano. Passano entrambi da dodici a 9 anni di carcere Antonino Costa e Mariangela Gaglioti, mentre è di 9 anni la condanna di Giovanni Bruzzise. Per Roberto Caratozzolo, condannato in precedenza a 5 anni la Corte ha deciso una pena di 4 anni di reclusione, mentre incassano tutti una condanna a 2 anni, Oscar Barbaro e Pasquale Mattiani, in precedenza puniti con tre anni, e Giuseppe Papasergi, cui in prima istanza erano stati inflitti tre anni e sei mesi.

ERGASTOLI E CONDANNE CONFERMATE Vengono invece tutte confermati i quattro ergastoli decisi in primo grado per Domenico Gallico, Giuseppe Gallico, Carmine Demetrio Santaiti e Lucia Giuseppa Morgante, la settantenne che dal carcere portava all’esterno gli ordini di morte durante la faida tra i Gallico ed i Bruzzise, che tra il 1980 ed il 1988 ha portato alla morte di 52 persone. Allo stesso modo sono state tutte confermate le condanne inflitte a Carmelo Bruzzise (25 anni), Francesco Cutrì (14 anni e 9 mesi), Vincenzo Bruzzise (14 anni), Antonio Costantino (13 anni e 6 mesi), Carmine Gaglioti (12 anni e 9 mesi), Diego Rao (10 anni), Vincenzo Oliverio (9 anni) e Vincenzo Cambareri (7 anni e 6 mesi). Anche per i giudici di secondo grado dunque è solido e valido l’impianto accusatorio costruito dal pm Di Palma nei lunghi anni di indagine sui clan di Palmi e Seminara, confluiti poi nell’inchiesta “Cosa mia”, che ha cristallizzato in una monumentale richiesta di misura cautelare, quindi in un altrettanto impegnativo procedimento, le attività tanto imprenditoriali come meramente criminali delle ndrine Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano di Palmi, e i Bruzzise-Parrello del “locale” di Barritteri e Seminara. Un’inchiesta arrivata allo scoglio del secondo grado, forte non solo della pronuncia favorevole arrivata in prima istanza dai giudici di Palmi, ma anche del successo processuale già incassato in diversi gradi di giudizio dal filone giudicato con rito abbreviato. Risultati straordinari che confermano il lungo lavoro di indagine, avviato nel 2005 dal pm Roberto di Palme, affiancato dal sostituto procuratore Giovanni Musarò a partire dal 2008. Un lavoro certosino che ha svelato che i cantieri per i lavori di ammodernamento della A3 continuavano ad essere stretti nella morsa delle organizzazioni criminali, che imponevano una tangente del 3% sugli appalti quale corrispettivo per la “sicurezza”. Una tassa che i clan imponevano con un rosario di furti e danneggiamenti e le grandi imprese accettavano – e probabilmente accettano – di pagare senza troppi problemi.

 

Alessia Candito 

a.candito@corrierecal.it

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