Nicola Irto è il nuovo presidente del Consiglio regionale della Calabria. Subentra a Tonino Scalzo che con le sue dimissioni, dopo essere stato tirato in ballo per via di Rimborsopoli, ha inteso togliere ogni alibi a quanti tentennavano davanti ad una reale svolta.
Ha preteso, però, che le sue dimissioni non rappresentassero un salto nel vuoto ma venissero accompagnate da chiare indicazioni sulla linea del rinnovamento. Al vicesegretario nazionale del suo partito, Lorenzo Guerini, Scalzo ha elencato meticolosamente il lavoro fatto in questi mesi: i tagli vigorosi, la rotazione dei dirigenti, il riordino degli uffici con cambi ai vertici di una burocrazia troppo compromessa, il lavoro fatto a Bruxelles per recuperare una identità largamente deficitaria. Nasceva in quelle ore e in quel confronto con i vertici nazionali del Pd l’indicazione di Nicola Irto.
Il nuovo presidente della massima assemblea elettiva calabrese, ha 33 anni. Poco più della metà di quelli di Mario Oliverio. Insomma due generazioni a confronto. Anche due diversi modi di vedere e vivere l’impegno politico e questo dovrebbe arricchire un panorama istituzionale fin qui troppo ingessato e troppo autoreferenziale. Forse è anche per questo che non era Irto il candidato a presidente desiderato da Oliverio. Lo stesso Mimmo Battaglia non ha esitato a rimproverare, nella riunione lametina che ha sciolto le ultime riserve, a Mario Oliverio di averlo abbandonato in maniera opportunistica.
Polemiche rientrate, assicurano i capi del Pd calabrese, pronti a scommettere che superato il doppio scoglio della nuova giunta e della successione a Tonino Scalzo, il Pd calabrese ritroverà compattezza e recupererà un proficuo rapporto anche con quegli ambienti romani che, in precedenza, si erano chiamati fuori dalle scelte del governatore, ritenendole troppo in continuità con il passato recente e con quello meno recente.
Speriamo sia così. La Calabria non è nelle condizioni di subire nuove laceranti contrapposizioni interne a quello che, piaccia o meno, è il partito di maggioranza. Soprattutto nel momento in cui anche l’opposizione appare in preda ad una guerriglia senza fine, della quale lo scontro Tallini-Galati rappresenta solo il punto più eloquente.
Restano da sedare gli ultimi pasdaran della controrivoluzione, quelli, per capirci, che ancora ieri hanno puntato le ultime carte sull’incidente occorso al Senato a riguardo degli interventi in favore dei lavoratori lsu-lpu calabresi. Certo, lo scivolone di Palazzo Madama aveva contribuito a caricare di tensione una mattinata già di per sé complicata, visto l’appuntamento in consiglio regionale. Così abbiamo potuto assistere ad una chiamata alle armi che il mitico principe De Curtis avrebbe eliminato con un «…ma mi faccia il pacere», mentre l’ex sindaco di Cetraro, per sua stessa definizione “diversamente renziano”, si è spinto fino a sospettare si trattasse di un «premeditato atto ai danni della Calabria», ipotizzando, in caso di conferma, l’intimazione ai parlamentari calabresi di «non votare la fiducia al governo».
Speriamo che adesso che la “guerra” è stata scongiurata, Aieta e compagni si preoccupino anche delle cose su cui hanno una responsabilità diretta, ovviamente dopo avere ottenuto la restituzione della testa del brigante Villella. Scopriamo, ad esempio, che basterebbero sei milioni di euro per mettere il termalismo calabrese in condizione di lavorare per l’intero anno occupando il doppio degli attuali addetti, invece di essere costretti a chiudere a luglio per esaurimento del budget a loro disposizione dalla Regione Calabria. Scopriamo, ancora, che la legge sul termalismo aveva una dote finanziaria di un milione, poi ridotta a 500mila euro e poi del tutto azzerata. Come dire che basterebbe la metà di quando è costata “Rimborsopoli” per rendere operativa una legge attesissima.
Roma ha le sue colpe, ci mancherebbe, ma da qui ad eleggerla a cortina fumogena per mascherare le inerzie della Regione Calabria ce ne vuole.
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