REGGIO CALABRIA La Provincia di Reggio Calabria, nel 2010, ha impegnato 120mila euro per la realizzazione del sistema di video-sorveglianza del Museo della ’ndrangheta. Una somma sulla quale le indagini della Procura – che hanno portato all’iscrizione sul registro degli indagati di 25 persone per la Rimborsopoli dell’antimafia – hanno acceso i riflettori. L’associazione “Antigone”, presieduta da Claudio La Camera, l’uomo attorno al quale ruota tutto il sistema di fatture sospette, ha presentato, nel gennaio 2011, una rendicontazione delle attività svolte per la sicurezza della struttura. Sono 120mila euro e spiccioli, liquidati dall’amministrazione provinciale. Su quella cifra si sono concentrati gli accertamenti della Guardia di finanza. In particolare su una fattura da 99.256 euro emessa dalla ditta “Elettro Service” di Alberto La Camera. Proprio il titolare è stato sentito dai finanzieri nel tentativo di ricostruire i movimenti di denaro e le forniture relative a quell’attività. La Camera spiega che la fattura è stata emessa prima che iniziassero i lavori e circa un anno prima che fossero completati. Questo perché l’allora presidente dell’associazione “Antigone” «mi disse che per poter accedere a un bando aveva bisogno della fattura di acconto». Alberto La Camera non ha avuto un grosso vantaggio dai lavori svolti al Museo della ’ndrangheta. Dice agli investigatori di non aver ricevuto tutti i pagamenti: «Ho potuto avanzare solo richieste verbali, avendo quietanzato (con la quietanza il creditore afferma di aver ricevuto il pagamento, ndr) la fattura su richiesta di Claudio La Camera, per cui non posso proporre azioni legali per il recupero di tali somme, che ammontano a circa 47mila euro». Una cifra che la Guardia di finanza riesce a verificare accedendo ai conti della “Elettro Service”.
Non è l’unico problema di questa parte della Rimborsopoli dell’Antimafia. La Camera (Claudio, non Alberto) manda alla Provincia una relazione tecnica e un certificato di collaudo dell’impianto per ottenere la liquidazione del finanziamento. Lo fa il 12 gennaio 2011, quando le telecamere, secondo le dichiarazioni dell’altro La Camera (Alberto), non erano ancora operative. Lo spiega anche la ditta alla quale è stato affidato, a titolo gratuito, il collaudo: «È avvenuto verosimilmente nel periodo aprile/maggio 2011», dunque quattro mesi dopo il certificato presentato agli uffici della Provincia di Reggio Calabria.
Il passaggio successivo delle indagini rende, se possibile, ancora più evidenti le anomalie. Gli inquirenti affidano a un esperto una perizia per dare un esatto valore all’impianto. Il perito valuta il costo delle apparecchiature in 30mila euro (Iva inclusa). Rispetto alla cifra fatturata ne “avanzano” 68mila. Gli occhi elettronici possono costare molto, specie se paga lo Stato.
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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