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Svimez, tutto scorre come se niente fosse

Veloce come una goccia d’acqua che scivola sul vetro di una finestra. Così ha attraversato la coscienza dei politici calabresi l’ultimo rapporto annuale della Svimez che disegna un Sud a rischio de…

Pubblicato il: 03/08/2015 – 9:11

Veloce come una goccia d’acqua che scivola sul vetro di una finestra. Così ha attraversato la coscienza dei politici calabresi l’ultimo rapporto annuale della Svimez che disegna un Sud a rischio desertificazione umana e industriale. Un Sud nel quale non si fanno più figli; dove la povertà è cresciuta del 40% rispetto allo scorso anno; dove la parola consumo tende a scomparire dall’uso corrente e gli occupati sono “stabilizzati” a 5,8 milioni con una disoccupazione salita al 31,5%.
Siamo ai titoli di coda di una rappresentazione drammatica che sembra interessare poco: nessun intervento di chi ha la responsabilità di condurre questa regione; con le istituzioni inermi e la popolazione rimasta come shoccata da una realtà che mai avrebbero pensato potesse essere così traumatica.
Tutto scorre come al solito, come se nessuno si sia reso conto che la situazione richiede interventi urgenti. C’era da aspettarsi che governo e assemblea regionale si convocassero d’urgenza, che qualcuno si facesse promotore per una urgente conferenza delle Regioni meridionali pretendendo presenze e impegni autorevoli del governo centrale perché si restituisca serenità alle popolazioni e quella dignità che gli è stata sottratta a favore di quell’altra Italia che si fa chiamare Nord. Per riaffermare a quanti si preoccupano di fare il braccio di ferro con i magistrati o di evitare i fendenti che gli piovono addosso dal variegato mondo dei dissidenti che l’Italia è una che parte dalla Sicilia e finisce sulle Alpi. Per dire col sangue negli occhi a chi si atteggia a spavaldo che non sono in ogni caso, e per nessuna ragione, sopportabili le enormi differenze esistenti tra Sud e Nord (-80,5% di aiuti alle imprese del Meridione e riduzione degli investimenti pubblici fin quasi ad un terzo della media nazionale).
Questa la realtà! Amara per chi la subisce.
Non ci sono state reazioni. La giornata è trascorsa ed è finita, come tutte le altre, caratterizzata da un silenzio assordante se non ci fosse stata la voce del neo presidente del Consiglio regionale, Nicola Irto che, pur essendo solo una figura istituzionale, ha suggerito di lavorare per una Calabria nella quale non ci sia posto per la ‘ndrangheta e per l’illegalità. Una sorta di Eden o di paese di Bengodi. Parole forti, condivisibili, purtroppo destinate a rimanere un mero esercizio verbale. Comunque si tratta di intenzioni che per essere attuate richiedono tempi lunghi e intanto qui si continua a morire di fame. Non sono più stagioni in cui si possono fare proclami, urgono interventi tangibili, che diano sostanza immediata. Di belle parole e di intenzioni i calabresi ne hanno fin sopra i capelli come dimostra la sempre crescente perdita di credibilità della politica intesa come strumento per perseguire interessi della casta.
Anche la ‘ndrangheta, accertato che le risorse in Calabria erano state prosciugate, ha trasferito i suoi interessi nell’opulento Nord. Oggi anche quell’organizzazione che un tempo riusciva a condizionare ogni cosa, sembra ridotta ad una amarcord costretta a dover fare i suoi “affari” avendo considerato che nel paniere non c’è più quell’80,5% per i calabresi.
Il resto delle cose elencate: il porto di Gioia Tauro, il turismo, la burocrazia, la legalità, la lotta alla corruzione sono argomenti che i calabresi conoscono a menadito per esserseli visti propinare, come una terapia, dal 1970 quando furono istituite le regioni ordinarie. Comunque, se siamo convinti che lo sviluppo passa da queste realizzazioni, ben vengano. Ma essendo altrettanto convinti che il processo comunque sarebbe tortuoso e soprattutto lungo, bisognerebbe che il governo regionale, cui spetta l’onere di formulare programmi, cominciasse a pensare a come avviare sin da subito un fattivo confronto con il governo di Roma, coinvolgendo i parlamentari della regione, per trovare insieme il sistema di uscire da una condizione di degrado sociale causa del divario tra l’Italia e la linea Maginot che taglia fuori le regioni del Sud. Se poi il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, vuole continuare a sostenere che l’Italia è uscita dal tunnel della crisi, sarebbe opportuno che qualcuno gli facesse presente che nel Meridione d’Italia nessuno si è accorto delle sue teorie e dei suoi studi che contrastano con le cifre e le analisi fatte sull’intero Paese dalle quali emerge che il Sud è rimasto indietro sulla strada dello sviluppo rispetto al resto d’Italia. Basta avere un po’ di onestà intellettuale per riconoscerlo.

 

*Giornalista

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