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Matrimoni combinati dalle 'ndrine anche a Milano

MILANO Platì, ultimo decennio dell’800. Per volere delle rispettive famiglie Francesco Barbaro e Marianna Carbone convolano a nozze. Da quell’unione , nascono dieci figli fra cui Pasquale Barb…

Pubblicato il: 04/08/2015 – 15:19
Matrimoni combinati dalle 'ndrine anche a Milano

MILANO Platì, ultimo decennio dell’800. Per volere delle rispettive famiglie Francesco Barbaro e Marianna Carbone convolano a nozze. Da quell’unione , nascono dieci figli fra cui Pasquale Barbaro, il cui primogenito Rosario diventerà il capobastone della ‘ndrina “Rosi”, Domenico Barbaro, che darà i natali a Francesco, capostipite dei “Castanu”, Elisabetta Barbaro, futura madre di Giuseppe Perre, capo dei “Maistru”, Antonio Barbaro, boss della ‘ndrina “Nigru” e Serafina Barbaro, futura madre di Domenico, Rocco e Antonio Papalia, i “carciuti” che porteranno la ‘ndrangheta al Nord Italia.
Milano, anni Duemila. Ancora una volta, sono le famiglie a decidere che Rosanna Papalia, nipote di chi ha portato le ‘ndrine al Nord, deve sposare Giuseppe Pangallo. Poco più che trentenne, nata e cresciuta a Milano – da madre milanese figlia di milanesi che ha scelto però di legarsi a Rocco Papalia, uomo di Platì – Rosanna deve piegare la testa e obbedire a quanto la famiglia ha stabilito per lei. Lo sa Rosanna e lo sa il marito che il loro non è un matrimonio d’amore, come lo scoprono i Carabinieri, ascoltando i loro litigi. «…già noi stiamo [insieme] perché stiamo – la ascoltano urlare – Perché – diciamocelo –: noi stiamo insieme perché stiamo! [dobbiamo stare]». E c’è tutta la rabbia e la frustrazione di una donna sottomessa a un sistema di regole che le stanno stretta, ma cui si piega, nelle parole velenose che rivolge al marito, rinfacciandogli la sua stessa esistenza «…stavo tanto bene con l’altro e mi hanno fatto sposare te». Dall’età di dieci anni, Rosanna ha visto il padre solo in occasione dei colloqui in carcere, spesso resi ancor più sporadici dal regime di carcere duro cui era sottoposto, ma questo non l’ha salvata. La famiglia per i platioti va al di là dei genitori, la famiglia ha le sue regole. E non ci si può sottrarre a meno di non affrontare il rischio di rinunciare alla famiglia stessa.
A distanza di più di un secolo, Rosanna, come Marianna più di cento anni prima di lei, hanno compiuto gli stessi gesti, hanno piegato la testa di fronte agli stessi ordini. E sta tutta qui – affermano i carabinieri del nucleo investigativo milanese – la granitica capacità della ‘ndrangheta di evolversi rimanendo sempre fedele a se stessa che ha reso possibile trasformare Corsico e Buccinasco nella Platì del Nord. Una definizione tracimata dagli ambienti giudiziari alla stampa quando nei primi anni Novanta, le indagini della prima Dda milanese hanno svelato – forse inascoltate – il tentacolare insediamento delle ‘ndrine in Lombardia. Una definizione – spiegano oggi i carabinieri nella premessa di un’informativa depositata agli atti dell’indagine “Platino” – ancora attuale. Se – come svelato dalle prime indagini antimafia a Milano – le prime comunità di calabresi insediate in Lombardia hanno tardato a integrarsi con gli autoctoni, le seconde generazioni «rifiutando la sola ipotesi d’affrontare i sacrifici dei genitori, utilizzarono – spiegano i militari – quelli peculiari della realtà di provenienza: la violenza e la sopraffazione. E la popolazione autoctona, operosa sì ma impreparata e incapace a far fronte a tale emergenza, col tempo capitolò, finanche mutuando il modus vivendi dai calabresi assoggettati alla ‘ndrangheta, arrivando a riconoscere i boss e a temerli come tali. Facendo rientrare nel proprio habitus comportamenti che, per cultura e tradizione, avrebbero dovuto distare molto più dei 1.300 chilometri che separano Platì da Buccinasco». A completare il lavoro, sarà la paura generata dalla stagione dei sequestri. «Quando, poi, a metà degli anni Settanta, prese il via la tragica stagione dei sequestri di persona e divenne di dominio pubblico che i calabresi platioti ne erano i massimi responsabili – si legge nell’informativa – la paura ebbe gioco facile anche su chi, fino a quel momento, aveva resistito alla protervia ‘ndranghetista con orgoglioso senso civico. Buccinasco perse la memoria di sé e s’adagiò a divenire la Platì del Nord». Una diagnosi messa in luce già vent’anni fa dall’inchiesta “Nord Sud”, ma che non ha portato – ammettono gli investigatori – all’elaborazione di una cura. Al contrario, a Buccinasco, Corsico e in buona parte del sud Milano c’è una comunità enorme che «si rifà tuttora alle regole della ‘ndrangheta, riconosce immutate le vecchie cariche criminali, si evolve nel segno della continuità con l’inveterata tradizione che disconosce e disprezza l’autorità dello Stato». Come Rosanna, i platioti di nuova generazione parlano con l’accento milanese, a Milano sono nati, cresciuti, hanno frequentato le scuole, alcuni addirittura l’università, milanesi – in larga parte – sono stati i loro amici, ma alla fine, la “Mamma” rimane in Calabria. «L’operazione di Make-up cui essa (la ‘ndrangheta ndr), obtorto collo, s’è dovuta sottoporre – prendendo a parlare la lingua italiana, adeguando l’abbigliamento alla moda corrente, intrattenendo relazioni sociali col “mondo esterno” – rappresenta soltanto un upgrade dei costumi, un indispensabile aggiornamento per non attirare su di sé l’attenzione». Ma c’è, esiste e per gli investigatori, nonostante le innumerevoli operazioni di polizia susseguitesi nel tempo, suscita ancora fascino, timore, attrattiva. «Il cognome Papalia – scrivono – ha lo stesso valore d’un tempo, il medesimo peso specifico; chiunque sia la persona autorizzata a spenderlo, incaricata di rappresentare la famiglia». E Milano non ha ancora saputo trovare cura alla malattia da così tanto tempo diagnosticata.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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