ROMA Dal 2006 al 31 ottobre 2014 ci sono stati 2060 atti di ostilità nei confronti di giornalisti. Un numero in aumento, che ha raggiunto il suo picco massimo nei primi dieci mesi del 2014, con 421 atti di violenza o intimidazione, quasi tre ogni due giorni. Atti che, per lo più, restano impuniti e si rivolgono ai freelance, categoria che soffre di gravi lacune normative. Sono i dati che emergono dalla relazione della commissione parlamentare Antimafia sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie, presentata questa mattina. La relazione, approvata oggi all’unanimità, ha contato 34 audizioni di giornalisti, direttori, editori, presidenti di ordini, magistrati e un anno di lavoro. E i giornalisti calabresi sono quelli più nel mirino. La fotografia – realizzata anche grazie ai dati raccolti dall’Osservatorio “Ossigeno per l’informazione” – è allarmante: il numero di giornalisti minacciati è in aumento, come lo è quello dei cronisti sotto protezione – circa 20 – con una diffusione che interessa tutto il territorio nazionale, esclusa la la sola Valle d’Aosta. Un quadro in continua evoluzione, con numeri sempre in crescita. Ma c’è un altro fenomeno registrato dalla commissione: il ricorso sempre più frequente di alcuni strumenti del diritto a scopo intimidatorio, come le querele. «Siamo abituati a pensare alle pallottole, alle telefonate, alle pubbliche sfide. Ma abbiamo registrato un uso strumentale di strumenti del diritto e ci preoccupa molto. Vengono usati con grande determinazione e sapienza, perchè ad esempio un’azione civile per danni verso un giornalista vuol dire metterlo alle strette» ha spiegato Claudio Fava, vicepresidente della commissione e relatore del documento. Un problema che riguarda specialmente chi è meno garantito: i precari, i cronisti di provincia, i freelance, per cui una causa dispendiosa equivale a un bavaglio. Un altro problema messo in luce dalla relazione riguarda proprio le condizioni di estrema precarietà contrattuale ed economica di quasi tutti i giornalisti minacciati. Durante le audizioni, molti cronisti destinatari di intimidazioni hanno ammesso di lavorare per pochi euro ad articolo, spesso senza contratti e ritrovandosi – al momento del pericolo – da soli.
«La precarietà economica è uno degli strumenti che le mafie utilizzano – ha spiegato Fava –. Questo è l’unico Paese in cui il freelance ha un ruolo marginale anche dal punto di vista economico. Senza contare tutele pari a zero sul piano professionale». Il comitato ha indagato anche sull’aspetto opposto del problema: l’informazione compiacente e collusa con le mafie, che trovano talvolta nella stampa un punto di tutela dei propri interessi. Molte testimonianze raccontano di un clima difficile in redazione, giornalisti isolati, licenziati. Una situazione che trova i suoi picchi al Sud, in Calabria e Sicilia. «Nel nostro Paese abbiamo avuto 11 giornalisti uccisi, di cui 9 dalle mafie. È un dato patologico il fastidio delle mafie contro l’informazione libera» ha detto Fava. Si sono rilevate anche alcune «sacche di giornalismo reticente», con editori che pretendono il silenzio delle loro redazioni o che le controllano. Dall’altro lato, una cifra positiva: «Nonostante tutto questo abbiamo rilevato che esiste un giornalismo d’alto profilo, fatto da giovani con la schiena dritta soprattutto in periferia», ha concluso Fava. Sono giornalisti poco conosciuti, fuori dai circuiti mediatici, che la commissione definisce «eredi» di quelli che hanno perso la vita per mano delle mafie. Secondo la relazione, occorre un percorso di riforma che «dovrà concentrarsi sul tema dell’abuso di alcuni strumenti del diritto» e, allo stesso tempo, serve «un intevento altrettanto urgente non delegabile al Parlamento per costruire condizioni di maggiore sicurezza economica e dignità professionale per gli operatori dell’informazione». Questo in particolar modo nei territori più esposti. «Questa relazione è solo l’inizio di questo lavoro: ogni giorno alla lista dei giornalisti minacciati se ne aggiungono di nuovi. Ma la commissione non spegnerà questa luce: saremo un punto di attenzione su questo aspetto inquietante della presenza delle mafie nel nostro Paese», ha commentato la presidente della commissione, Rosy Bindi.
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