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Niente soldi per gli scavi. E le "archeomafie" fanno affari

LAMEZIA TERME Si scava prevalentemente dove ci sono cantieri (pubblici per la maggior parte e raramente qualche privato). Le campagne di studio e gli scavi archeologici non vengono condotti – quest…

Pubblicato il: 09/08/2015 – 8:25
Niente soldi per gli scavi. E le "archeomafie" fanno affari

LAMEZIA TERME Si scava prevalentemente dove ci sono cantieri (pubblici per la maggior parte e raramente qualche privato). Le campagne di studio e gli scavi archeologici non vengono condotti – questo è uno dei problemi alla base della tutela del patrimonio dei beni culturali calabresi – ove vi sia un progetto di studio, un interesse scientifico, ma solo là dove una ditta esterna possa permettersi di pagare il nulla osta archeologico sui lavori pubblici, vedi lavori sulla 106, opere per le condutture del metano, costruzioni di strade e quant’altro.
In soldoni – è il caso di dirlo – mancano i fondi per portare avanti quella che è la preziosa mappatura storico/archeologica della nostra regione. Non si avverte il reale interesse delle istituzioni – a meno che non si debbano tirare fuori i paroloni delle grandi occasioni quali “turismo”, “territorio”, “salvaguardia” – nei confronti di una risorsa immensa e di un potenziale bacino di attività economiche.

 

IL FIUTO DELLA ‘NDRANGHETA A investire nel settore archeologico, tanto da averlo trasformato in un lucroso business, è la criminalità organizzata. Lo ha dimostrato, di recente, il nuovo filone dell’inchiesta “Purgatorio”, condotta dalla Dda di Catanzaro, che vede indagate 11 persone – tra le quali il boss di Limbadi Pantaleone Mancuso – per traffico illecito di reperti archeologici trafugati dalle più importanti aree della Calabria e in particolare dal sito di Scrimbia a Vibo Valentia.
Secondo il procuratore aggiunto di Catanzaro Giovanni Bombardieri, «dopo il traffico di droga e armi, il commercio illecito di beni artistici e archeologici è da considerarsi la terza attività a foraggiare la criminalità organizzata». Nel caso di “Purgatorio”, il gruppo criminale – alla testa del quale vi era “l’esperto” del settore Giuseppe Braghò – aveva effettuato notevoli investimenti pur di entrare in possesso dei preziosi reperti di Vibo, tanto da arrivare a scavare un cunicolo lungo 40 metri nel centro della città – puntellato, dotato di prese di areazione e di una pompa idrovora – che portava fino agli scavi. I reperti archeologici trafugati sarebbero stati piazzati sul mercato illegale, anche all’estero. Fra i finanziatori e i partecipanti all’organizzazione, pure diversi vibonesi insospettabili e “colletti bianchi”.

 

CORSA CONTRO IL TEMPO Scrimbia è una zona vincolata archeologicamente da 30 anni, un’area santuariale gigantesca che arriva fino al castello di Vibo Valentia. L’area è ricca di “stipe votive” ossia di depositi in fosse di materiale votivo sepolto all’interno del recinto sacro di un tempio quando questo veniva liberato dai vecchi ex voto per fare posto alle nuove offerte. Una stipe votiva può contenere monili, vasellame, oro, monete. È il paradiso del trafugatore di beni archeologici dotato di metal detector. «Per scavare una stipe votiva serve un notevole investimento – spiega l’archeologa Giorga Gargano – il problema è che molto spesso chi trafuga i siti poi distrugge tutto ciò che non gli interessa».
«L’archeologia – dice l’esperta – è un lavoro di controllo del territorio, non è una mera opera di recupero ma di ricostruzione storica di un’intera area. Un lavoro che spesso abbiamo svolto grazie all’aiuto dei carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio culturale». Oggi Giorgia Gargano fa l’insegnante e opera nel settore della tutela e all’interno delle strutture museali. Tutto all’insegna del volontariato, ovviamente. Gargano si occupa di tutelare i beni numismatici della Calabria. L’obiettivo è la scansione dell’intero patrimonio di monete posseduto, e già catalogato, in Calabria e la sua pubblicazione sul sito dell’Osservatorio nazionale dello Stato. Il ritrovamento, la catalogazione e lo studio del patrimonio archeologico è spesso una corsa contro il tempo. Una gara impari se si considerano i tempi lunghi dell’archeologia che lotta per il recupero dei finanziamenti, ritaglia pochi mesi nelle campagne di scavo estive condotte dalle università e deve vedersela contro la voracità della criminalità e le intemperie che minacciano i beni culturali.
È il caso di Caulonia, il cui sito, a ridosso sul mare, rischia di essere spazzato via dall’erosione della costa anche se, in qualche modo, i massi posti a protezione della costa dalla Provincia hanno limitato l’azione del mare.

 

LAVORI FERMI A Caulonia i lavori sono fermi per la prima volta dopo quasi 20 anni. Gli scavi, in uno dei siti archeologici più belli della Calabria, venivano condotti da professori e studenti, tutti volontari, dell’università “Normale” di Pisa e dell’Università di Firenze, con la supervisione della Soprintendenza. Il Comune di Monasterace garantiva ai lavoratori gli alloggi all’interno di strutture appartenenti all’ente. Quest’anno non è stato possibile perché, con l’emergenza degli sbarchi, molte case sono state destinate ai migranti. E questo è stato uno dei tanti problemi ad aver fermato gli scavi. L’allarme è stato lanciato pochi giorni fa anche da Maria Carmela Lanzetta, ex sindaco di Monasterace e presidente dell’associazione Umberto Zanotti Bianco e da Giovanni Scarfò, socio di “Italia Nostra”. «A questo punto è doveroso – scrivono Lanzetta e Scarfò – da parte nostra lanciare l’appello alla Regione Calabria affinché dia al più presto una risposta all’esigenza e alla necessità che la Calabria e i cittadini calabresi possano avere la possibilità di salvaguardare e programmare il futuro dei beni culturali procedendo alla nomina della commissione o del consigliere regionale delegato, auspicando che il loro impegno amministrativo si attui sul campo in collaborazione con le amministrazioni comunali e le associazioni». [continua…]

 

Alessia Truzzolillo

a.truzzolillo@corrierecal.it

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