COSENZA «La discarica di Celico va chiusa». La calda giornata di mobilitazione del Comitato ambientale presilano è iniziata in Prefettura, assieme ai sindaci di Celico, Rovito, Casole Bruzio, con il vicesindaco di Spezzano Piccolo e l’assessore all’Ambiente di Trenta. Il tutto dopo l’incontro nella sede di Castrolibero dell’Arpacal che, in seguito al sopralluogo di stamattina, «ha certificato – scrivono gli attivisti – come i lavori di adeguamento dell’impianto della Miga (quello di Celico, ndr) non sono ancora stati completati».
Il termine di trenta (30) giorni scadeva per le operazioni è scaduto stamattina, «termine imposto da una diffida dell’Arpacal (a seguito della protesta delle popolazioni della Presila) comunicato alla Regione e che decretava che se i lavori di copertura delle vasche di lavorazione e l’installazione dei biofiltri atti a contenere le emissioni nauseabonde non fossero completati entro la data odierna, si sarebbe potuto ricorrere alla sospensione delle autorizzazioni alla lavorazione dei rifiuti». Prosecuzione logica: la richiesta dello stop dell’impianto al Presidente Oliverio, a margine dell’iniziativa a cui ha preso parte nel centro storico di Cosenza.
«La situazione in Presila – spiegano dal Comitato – è diventata insostenibile e non è più tollerabile che un impianto non a norma continui a operare in questa maniera. Sono anni che chiediamo che venga rispettata la dignità di un intero territorio che ha pagato carissimo (nella qualità della vita e nelle svalutazioni immobiliari) il prezzo di una discarica del genere. Al Presidente Oliverio è stato chiesto di sospendere i lavori della Miga almeno fino al 30 settembre, per fermare un oltraggio che dura da troppo tempo. Inoltre abbiamo preteso che anche le realtà territoriali dei comitati e delle associazioni vive della Regione vengano ascoltate nella fase preparatoria (progettuale) del nuovo Piano rifiuti regionale. Una pretesa da parte di territori tenuti sempre a margine dalle decisioni politiche, ma che hanno al contrario tutta la dignità e il diritto di essere ascoltate. Non vogliamo decisioni dall’alto. I nostri territori appartengono a noi».
x
x