REGGIO CALABRIA «Il sacerdote-professore Antonello Foderaro, assistito dall’avvocato Aurelio Chizzoniti ha presentato nella giornata di ieri presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria un durissimo esposto querela contro ben identificati “quattro amici al bar”, impegnati ultra vires in un tutt’altro che disinteressato progetto diffamatorio volto a “far fuori” il prete scomodo ad della Fondazione Unitas». Lo comunica lo stesso Chizzoniti, che riferisce anche della trasmissione dell’atto d’impulso investigativo ad altre autorità e fra queste il procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori, il presidente della giunta regionale, il presidente del consiglio regionale, il Garante dei diritti dell’infanzia e degli adolescenti e, infine, al prefetto della Provincia di Reggio Calabria.
Alla denuncia-querela sono stati allegati 13 documenti e, fra questi, tutte le carte contabili riferite agli anni 2012-2013-2014-2015, numerose fatture riguardanti l’anno 2014 e quello in corso e tantissime altre carte utilissime per ristabilire la verità vulnerata da un gruppo di quelli che definisce «ayatollah» interessati «soltanto al recupero del modus operandi previgente all’interno di quella che definisce “oasi” protetta da inconfessabili interessi tutti documentati e devoluti alla superiore valutazione della giustizia adita.
«Fra le persone querelate – si legge nel comunicato – spicca un’aspirante avvocato, i cui genitori – entrambi e non uno soltanto – sono dipendenti della Fondazione, che dopo aver richiamato, a margine della sceneggiata della scalata dei tetti dell’Unitas, una fantomatica notifica della sentenza del Tar che disponeva l’accesso agli atti richiesta da taluni dipendenti, in effetti avvenuta a mezzo “stampa” e quindi con un fax “anonimo”, nel corso di un intervista rilasciata in data 27 luglio vestiva di nuovo i panni della vittima di don Foderaro che negava a oltranza i documenti al punto che è stata costretta a “rinotificare” il provvedimento assunto dalla giustizia amministrativa». «Laddove, invece – continua Chizzoniti –, la notifica è stata richiesta ed effettuata per la prima e unica volta soltanto il 15 luglio, per cui il termine ad adempiere, a tutto concedere, scadrà il prossimo 15 agosto. Ma un ruolo sul versante diffamatorio lo ha conquistato anche una zia della dottoressa diffamatrice che ad adiuvandum denigra con termini irrepetibili don Foderaro ben asserragliata all’interno della fortezza della diffamazione via internet in compagnia di chi vorrebbe giocare a ping pong “con la testa di chi so io…” fortemente insofferente, altresì, nei confronti di “longevi pachidermi che si agitano per mantenere lo status quo”. Anche un’altra signora fustigatrice in proprio e per conto terzi afferma senza mezzi termini che il “declino” della Fondazione è circoscritto agli ultimi trenta mesi, ovvero al periodo amministrato da don Foderaro per cui per la stessa che riduce motu proprio la consistenza numerica dei dipendenti da 31 a 10, la pratica dei pagamenti in nero, della non corresponsione ai dipendenti dell’importo indicato in busta la cui differenza non si riesce a capire dove sia andata a finire, la pregressa non tracciabilità delle offerte in denaro pervenute alla Fondazione, la permanenza all’interno della stessa di Sergio Mazzù (figlio dell’ex presidente del Tribunale dei minori di Reggio) che ancora oggi vi bivacca con la compagna, la gestione del banco alimentare (soppresso dall’attuale ad), restano esempi di altissima e non declinante ma caso mai di “crescente” saggia amministrazione».
Chizzoniti richiama e documenta alcuni esempi di «condizionamento strisciante» accertati in Fondazione, per cui ne invoca «la verifica della rilevanza penale ex articolo 610 codice penale (violenza privata), evidenziando, altresì, che il fronte anti-Foderaro è saldamente ancorato alle diverse iniziative lodevolmente assunte sul terreno del ripristino della legalità che restano la causa scatenante la “crociata” anti-prete rispetto alla quale quella di Lepanto appare un “crociera” a vela».
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