RENDE I due Adolfo della mala cosentina sono stati, per lungo tempo, «collegati da un punto di vista ‘ndranghetistico». Oggi le loro strade si sono divise. È Foggetti ad averne scelta una nuova, quella della collaborazione con la Dda di Catanzaro. D’Ambrosio, invece, è al 41 bis (il regime di carcere duro) nel penitenziario de L’Aquila. I due, però, si conoscono bene. E Foggetti è in grado di rispondere alle domande dei magistrati che cercano di far luce sulle aderenze politiche dell’altro Adolfo.
La Dda di Catanzaro indaga da tempo sulla politica rendese e le parole del pentito non restringono certo il campo dell’inchiesta. Semmai lo allargano: sono, ovviamente, al vaglio degli investigatori; senza riscontri, il loro valore sarebbe pressoché nullo.
Foggetti parte dalle chiacchierate con il vecchio “compare”: «Mi riferiva che aveva ottimi rapporti con tale Mirabelli nonché con tale Principe, indicandomeli come politici gravitanti nell’amministrazione comunale di Rende». Secondo il racconto, «tutti quelli che erano intranei alla cosca degli italiani, si prodigavano per fare la campagna elettorale nei confronti dei predetti poiché Principe e Mirabelli erano, tra virgolette, amici e potevano essere utili per chiedere loro eventuali favori». Al centro delle indagini della Dda c’è la nascita (e il finanziamento, da parte della vecchia amministrazione comunale di Rende) della cooperativa Rende servizi, che, secondo la tesi dell’Antimafia, sarebbe stata in parte gestita dai clan cosentini. Il collaboratore di giustizia rincara la dose e ricorda che, in una conversazione con Francesco Patitucci (uno dei capi della cosca Lanzino), questi gli avrebbe confidato «che la bacinella degli italiani e quindi del loro clan denominato Lanzino-Rua’ veniva alimentata da somme di denaro che provenivano dalla cooperativa Rende 2000». Il cosiddetto clan degli italiani, dicono gli amici a Foggetti, è «ben messo nell’ambito dei rapporti con ambienti istituzionali del Comune di Rende».
Rapporti che, secondo il pentito, continuano anche nella campagna elettorale del 2014. Quella in cui, in maniera ancora più dirompente che a Cosenza, il centrosinistra (e la famiglia Principe) perde il Comune di Rende per la prima volta nel dopoguerra. Adolfo Foggetti spiega la storia dal suo punto di vista (da sottoporre, come al solito, ai riscontri investigativi): «Tutti gli appartenenti al clan federato Rango-Zingari e Lanzino-Rua’ si sono mobilitati per fare la campagna elettorale all’avvocato Manna, ad eccezione di Maurizio Rango, il quale da me interpellato e richiesto sul punto ebbe a dirmi che i suoi familiari e/o parenti residenti a Rende erano particolarmente legati a Principe (…) ciò in quanto Principe si era sempre comportato bene con la sua famiglia». Marcello Manna, stimato penalista cosentino, è stato eletto sconfiggendo proprio il candidato a sindaco scelto da Sandro Principe e dal Pd rendese, il medico Pasquale Verre.
Del sostegno offerto all’avvocato, a capo di una serie di liste civiche di ispirazione di centrodestra, Foggetti parla diffusamente: «In occasione della campagna elettorale fui convocato dal collega di studio dell’avvocato Manna, l’avvocato Gaetano Morrone, il quale a sua volta si era candidato in una lista che appoggiava Manna e aspirava a diventare assessore o consigliere qualora il Manna fosse stato eletto. Convocatomi nello studio, mi chiese di impegnarmi a fare la campagna elettorale sia per se stesso che per Manna e mi riferiva che parlava per bocca di Manna».
I particolari ripercorrono lo schema classico dei presunti rapporti tra clan e politica: voti (presunti) in cambio di favori (altrettanto presunti). «Mi prometteva – va avanti il pentito – che una volta eletti avrebbero favorito, nell’ambito dell’aggiudicazione di appalti, delle ditte che noi avremmo segnalato, ovviamente se queste ditte fossero state idonee a partecipare agli appalti pubblici». Secondo Foggetti, «ognuno degli appartenenti al clan ebbe a redigere delle liste riproducenti i nominativi dei soggetti che a nostra richiesta avrebbero votato per Manna e Morrone e consegnammo queste liste a Morrone in modo che essi potessero farsi un’idea sul numero di voti dei quali avrebbero beneficiato».
Questa volta, il collaboratore di giustizia offre ai pm anche un modo per verificare la genuinità delle sue parole: «Le mie affermazioni possono essere riscontrate da una serie di telefonate intercorse tra me e l’avvocato Morrone proprio nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni e, se mal non ricordo, anche nel giorno delle elezioni e nei giorni successivi. Ricordo nello specifico anche una telefonata nel corso della quale, in sostanza, Morrone mi chiedeva di recarmi nel suo studio mentre mi trovavo a Paola. Dopo tale telefonata, probabilmente il giorno dopo o dopo due giorni, sono salito a Cosenza e Morrone mi consegnò i cosiddetti bigliettini elettorali che pubblicizzavano la candidatura di Marcello Manna». Foggetti ricorda le telefonate ma non il telefono sul quale le avrebbe ricevute, se il suo o quello della sua compagna. Ricorda, però, i nomi delle persone che si impegnarono, a suo dire, in campagna elettorale. E ricorda, soprattuto, che dopo le elezioni andò di nuovo nello studio legale: «E lì fui ringraziato da Marcello Manna in persona per l’impegno elettorale profuso». (3. Continua)
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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