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La 'ndrangheta non ha colore politico

Quando c’è di mezzo il nodo dei rapporti tra politica e criminalità organizzata, i protagonisti non trovano di meglio che dividersi tra chi (molti) continua a guardare il dito e chi (pochi) preferi…

Pubblicato il: 17/08/2015 – 12:20
La 'ndrangheta non ha colore politico

Quando c’è di mezzo il nodo dei rapporti tra politica e criminalità organizzata, i protagonisti non trovano di meglio che dividersi tra chi (molti) continua a guardare il dito e chi (pochi) preferisce invece guardare la luna. La cosa riguarda anche la categoria dei giornalisti ma il danno vero lo produce la distrazione permanente che governa il mondo politico.

Non siamo frequentatori della piazza mediatica, ci sembra un rifugio per cronisti falliti, tuttavia ci segnalano che molti “(non) operatori dell’informazione”, in queste ore si sarebbero abbandonati ad un tentativo di delegittimazione del lavoro altrui che però  finisce con il confessare il tradimento dei propri doveri. Dicono: «Quale scoop, i verbali circolavano da tempo». Perfetto, allora perché non sono stati pubblicati? Per non intralciare le indagini? Ma via, intanto i diretti interessati già sapevano e avevano pure chiesto di essere sentiti dal magistrato. Eppoi, in passato non ci pare di avere colto tanta sensibilità, addirittura si pubblicavano verbali inesistenti…

Tolta questa pietra d’inciampo, sulla quale alla fine stanno inciampando proprio quelli che avevano tentato di metterla sul sentiero altrui, veniamo al dito e alla luna. I verbali con le dichiarazioni dei tre pentiti cosentini non dovrebbero interessare solo le persone chiamate in causa direttamente (vedremo a indagini concluse se a torto o a ragione) ma l’intero universo politico-istituzionale, cosentino e non. Forse i pentiti avranno millantato o, peggio, calunniato facendo alcuni nomi di supposti referenti. In alcuni casi sono minuziosi nel ricostruire fatti, accordi e incontri, in altri sono vaghi e generici. Al netto di tutto questo, però, alcune verità escono dai verbali e si collocano in perfetta coerenza con quanto accertato processualmente dopo le collaborazioni di altri pentiti, a Cosenza come a Catanzaro come a Reggio Calabria.

Primo: la criminalità organizzata segue la politica ed è interessata a rapporti di sinergia con le istituzioni. Secondo: le cosche preferiscono rapporti con i partiti minori perché basta controllare un pacchetto piccolo di voti per condizionare l’elezione di un consigliere. Terzo: le cosche non amano alcuno schieramento politico, stanno vicine a chi conviene in un determinato momento senza badare se l’interlocutore scelto sta a destra, a sinistra o al centro. Quarto: nelle cooperative spesso troviamo una concentrazione troppo alta per non essere sospetta di parenti e amici dei boss, quando non direttamente gli stessi boss emergenti.

Si sta attrezzando la politica per evitare il mortale e delinquenziale abbraccio con le cosche? Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza, dice una cosa ben precisa e gli va dato atto che non elude il problema anzi lo affronta di petto. Dice Occhiuto: quando sono diventato sindaco ho scoperto che venivano lottizzati gli incarichi alle cooperative in modo da farli restare sotto la soglia dei centomila euro ed evitare l’obbligo della certificazione antimafia. Per questa ragione ho deliberato che anche per gli incarichi sotto i cinquantamila euro venisse richiesta e pretesa la certificazione antimafia. Ne consegue che il problema esisteva e che fin qui la politica ha preferito ignorarlo.

Poi c’è il problema delle porte girevoli. Qui i grandi partiti hanno responsabilità enormi perché sanno bene che a rendere girevoli quelle porte, nella stragrande maggioranza dei casi, c’è un voto inconfessabile che quando va bene è “solo” clientelare ma in altri casi è condizionato dalla criminalità organizzata. A Cosenza le porte sono talmente girevoli che il potere effettivo appare sproporzionato rispetto al peso istituzionale delle varie forze politiche. Nel Partito democratico, poi, il rischio diventa altissimo perché il “voto nomade” è quello che spesso determina l’esito delle cosiddette primarie.

Su tutto questo, che già non è poco, la politica, a Cosenza ma non solo a Cosenza, dovrebbe fermarsi  per ragionare, riflettere e studiare contromosse che evitino di trovarsi al tavolo un pericoloso convitato di pietra. Sulle storie personali è evidente che saranno le indagini a dover fare chiarezza. Bene fanno a reclamarla soprattutto quanti, ripetiamo a torto o a ragione, sono stati chiamati in causa dalle dichiarazioni dei tre pentiti cosentini. E sono stati chiari ed incisivi nelle loro repliche sia Marcello Manna che Enzo Paolini passando per Mario Occhiuto che ha anche offerto una chiave di lettura importante sulle vicende delle cooperative. Fuori dal coro Orlandino Greco, le cui frequentazioni leghiste evidentemente non aiutano. Secondo lui il problema siamo noi del Corriere della Calabria, visto che diversamente da altri i verbali non li commentiamo al bar o li stampiamo clandestinamente per darli in lettura riservata agli “amici”.

Orlandino Greco pensi a fare bene il consigliere regionale invece di darci lezioni di giornalismo.  Se non capisce le «ragioni di pubblico interesse» che stanno dietro una notizia è un dramma suo ma non può elevarlo a dogma. Secondo Greco dovremmo occuparci del recupero del cranio del brigante Villella e fermarci lì. Faccia anche un bagno di umiltà: non è pubblicando i verbali che lo riguardano che si può delegittimare la politica e se proprio gli stanno a cuore le sorti degli “organi inquirenti”, si attivi per metterli in condizioni di lavorare, visto che da anni è nota a tutti la condizione di abbandono per uomini e mezzi in cui viene lasciata la Procura distrettuale antimafia di Catanzaro.

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