COSENZA Ernesto Foggetti, nei suoi colloqui con i magistrati della Dda di Catanzaro ha tratteggiato anche i contorni di un’inchiesta che, nel frattempo, è emersa. Il pentito ne parla tre mesi prima delle perquisizioni a carico di alcuni amministratori di Marano Marchesato. I pm ipotizzano un legame tra la politica e la cosiddetta cosca “Rango-Zingari”: «Rango – spiega Foggetti – era quasi “entrato” nella politica». Il nuovo boss cosentino e i suoi sodali «si erano impegnati nella campagna elettorale delle ultime elezioni comunali del Comune di Marano. Il loro gruppo aveva procacciato voti a candidati presso il Comune di Marano e tali candidati si erano impegnati a fronte dei voti promessi e ricevuti che avrebbero “sistemato” e procacciato attività lavorative a familiari e/o congiunti degli appartenenti al clan “Rango-Zingari” attraverso delle intercessioni o raccomandazioni rispetto ai proprietari del centro commerciale Metropolis, i quali proprietari avevano collegamenti con gli amministratori pubblici del Comune di Marano, che erano stati votati dagli appartenenti al clan di Rango. Ignoro se le promesse siano state mantenute, perché poi io ho iniziato a collaborare». Su questi rapporti indaga la Dda, che ha iscritto nel registro degli indagati il sindaco Eduardo Vivacqua, il vice Giuseppe Belmonte e l’assessore Domenico Carbone, assieme ad alcuni presunti esponenti della cosca: Antonio Intrieri, Domenico Mignolo, Francesco Vivacqua, Alberto Ruffolo e Alberto Novello. In cambio dei voti ottenuti, i due politici avrebbero promesso favori quali posti di lavoro – sia presso il Comune sia all’interno del centro commerciale Metropolis di cui Belmonte è direttore – e privilegi amministrativi. Secondo le indagini, però, le promesse fatte in campagna elettorale non sarebbero state mantenute e la cosca avrebbe reagito secondo i propri metodi. «I voti sono stati dati! Se entro fine mese non escono 5 posti di lavoro al Comune o al Metropolis ogni singolo voto diventerà un colpo di pistola direttamente sulla vostra pelle. Per il Sindaco, Pino Belmonte e Domenico Carbone». Questo il tono di uno dei messaggi intimidatori inviato agli amministratori da Domenico Mignolo insieme a un proiettile calibro 7,65 e ad alcune margherite.
UN ALTRO PENTITO ACCUSA ORLANDINO GRECO Dalle carte in possesso dei magistrati antimafia emerge anche una seconda “tranche” di accuse nei confronti di uno dei politici tirati in ballo da Ernesto Foggetti. È Vincenzo Foggetti a dire la sua sulla politica a Castrolibero. Nelle sue parole non c’è un riferimento temporale preciso: «Il candidato a sindaco Orlandino Greco si recò da me, attesi i miei collegamenti con Michele Bruni, che era mio nipote, e mi chiese di procacciargli dei voti in occasione di tale campagna elettorale». Tutto in attesa, come al solito, dei riscontri del caso. Fu proprio Orlandino Greco, secondo Foggetti, a chiedergli «di riferire a Bruni che, qualora vi fosse stato l’impegno elettorale, ovvero il procacciamento dei voti, avrebbe inviato a Michele Bruni un pensiero, intendendo per tale una somma di denaro». Come Ernesto Foggetti, anche Vincenzo accomuna nell’accusa l’allora sodale politico di Greco, Aldo Figliuzzi. Entrambi hanno respinto decisamente le accuse del primo collaboratore di giustizia. Quelle del secondo, per certi versi vi si sovrappongono: «La richiesta di voti agli elettori avveniva da parte nostra riferendo agli interlocutori che “a Michele Bruni farebbe piacere se si votasse per Orlandino Greco”. Gli interlocutori, ovviamente, conoscendo la caratura criminale del Bruni e la mia appartenenza alla cosca medesima, non rifiutavano di manifestare la volontà di votare per Orlandino Greco». Dopo il voto, secondo Foggetti, «Greco fu eletto e mantenne la promessa di elargire un pensiero di denaro a Michele Bruni e, alla mia presenza, consegnò a Michele Bruni una somma di circa 10mila euro. La consegna avvenne a Castrolibero nei pressi della concessionaria di rivendita di auto denominata “Auto AM”».
LA “ZONA GRIGIA” C’è la politica, di ogni colore, nelle dichiarazioni dei tre pentiti che hanno scosso l’area urbana di Cosenza. E c’è anche una parte dell’imprenditoria che sarebbe (o sarebbe stata) «a disposizione» dei clan bruzi. Anche questo aspetto dei racconti di Aldo, Ernesto e Vincenzo Foggetti è al vaglio degli investigatori della Dda di Catanzaro. Nel mirino c’è la “zona grigia”, quella parte del tessuto imprenditoriale che sarebbe scesa a compromessi con la ‘ndrangheta. In alcuni casi si fa riferimento a veri e propri episodi di riciclaggio di denaro: alcune imprese avrebbero utilizzato «somme di denaro e provviste finanziarie» che arrivavano direttamente dalla bacinella del clan Lanzino. I boss e i loro luogotenenti sarebbero stati veri e propri soci in affari, seppur occulti, di numerosi imprenditori. Si tratta soprattutto di investimenti in immobili, rispetto ai quali, nelle alte gerarchie criminali del Cosentino, spesso i conti non sono tornati. La “bolla” immobiliare non guarda in faccia a nessuno, neppure alle cosche.
L’IDEA DELL’ATTENTATO A BRUNI Cosche che, invece, si guardano bene attorno per mettere a fuoco i propri nemici. Dal verbale di Ernesto Foggetti del 12 marzo 2015 (ri)emerge anche l’ostilità delle cosche cosentine nei confronti di Pierpaolo Bruni, il magistrato della Dda di Catanzaro che si occupa delle inchieste sui clan della città dei bruzi. E che è finito nel mirino della mala cosentina. La notizia era stata anticipata, nel novembre 2014, dalla Gazzetta del Sud ed era stata attribuita alle “confessioni” di un detenuto a un funzionario della polizia penitenziaria. Il racconto di Foggetti ai magistrati conferma l’ipotesi e il contesto: «Aggiungo – dice il pentito – che nell’agosto 2014 – quando mi trovavo detenuto presso il carcere di Cosenza (…), in uno dei miei frequenti colloqui con Gennaro Presta, ivi detenuto, apprendevo dallo stesso che vi era un malcontento da parte delle consorterie cosentine a seguito della pressione giudiziaria che aveva portato anche all’emissione di vari provvedimenti di 41 bis a carico di soggetti di vertice della criminalità locale». Una «pressione giudiziaria» che aveva indispettito i clan: «Il riferimento – spiega ancora Foggetti – era a Francesco Patitucci, che secondo Presta era finito al 41 bis proprio nell’ambito di tale strategia giudiziaria portata a compimento nello specifico perché veniva espressamente citato dal dottor Bruni». Il pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro finisce, così, nel mirino (e non è la prima volta). E la conclusione del collaboratore di giustizia è particolarmente sinistra: non ci sono soltanto «espressioni oltraggiose e minacciose». Aldo Presta, secondo Foggetti, specifica che le cosche «erano ben a conoscenza» delle abitudini del magistrato, «tanto che riferiva come lo stesso magistrato si recasse in palestra d’inverno e al mare d’estate». (4. Fine)
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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