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Riaffermare il rigore morale

“Panem et circenses”. Passano i secoli ma la pratica di questa massima è sempre attuale. Accaparrato il potere, lo sforzo è di mantenerlo e far credere all’opinione pubblica che tutto va bene; e se…

Pubblicato il: 19/08/2015 – 8:54

“Panem et circenses”. Passano i secoli ma la pratica di questa massima è sempre attuale. Accaparrato il potere, lo sforzo è di mantenerlo e far credere all’opinione pubblica che tutto va bene; e se qualcosa va, invece, a rotoli, la responsabilità è sempre di chi li ha preceduti. E va bene anche quando, come è accaduto anche di recente, si rimane stritolati da un’indagine giudiziaria. Ma in quel caso si tratta quasi sempre di valutazioni affrettate degli inquirenti che il giudice chiarirà. Ciò avviene anche quando le prove sono tali e tante che, ad un diverso essere umano, avrebbero tolto anche l’aria da respirare. Ma non è così per un uomo pubblico che occupa un incarico in un ente pubblico il quale, secondo consolidate procedure, fa ricorso a tutte le garanzie legislative per sospendere gli effetti; e poi saranno il tempo e la mancanza di memoria critica a far ritornare a scorrere gli stessi ritmi e le stesse abitudini di prima come se tutto fosse normale.
Ma è pensabile l’esistenza di una politica slegata dall’etica? C’è chi sostiene che sia agghiacciante pensare ad una gestione del potere senza vincoli morali. Se così fosse, come sarebbe possibile accettare supinamente che anche in presenza di una indagine giudiziaria non si pretenda di non rimanere strettamente ancorati al mandato aspettando così la sentenza definitiva?
Altri, invece, ritengono, e noi tra questi, che vi sia un obbligo morale verso la società che non può essere eluso e che consiglierebbe all’indagato di fare un passo indietro mentre si aspetta che la giustizia compia il suo corso.
Fermo restando che anche se qualcuno sente il dovere etico, senza ostacoli anche solo di natura psicologica, di farsi da parte, gli esempi opposti sono molteplici; tanto che non è azzardato dire che si va verso una omologazione di questa tendenza con la conseguenza di un cambiamento dei costumi e delle abitudini. Non è infatti un caso che, con più o meno raffinata noncuranza, viene sempre più praticata l’idea di trincerarsi all’ombra della presunzione di innocenza che, come è noto, accompagna l’imputato fino all’ultimo grado di giudizio piuttosto che riconoscere l’idea di restituire al popolo il mandato ricevuto. Naturalmente è una scelta surrogata dalla legge e, pertanto, va osservata e rispettata. Ma qui non si tratta di far valere una norma del codice su un’altra; si tratta di valutare l’opportunità di far prevalere un problema di etica applicata alla moralità. Si tratta di fare in modo che con l’accettazione tacita di tutto ciò che avviene si possa accreditare il principio di una correzione dei costumi evitando, però, che si trasformino in usi, perché in tal modo si rischierebbe che a lungo andare possono tramutarsi in fonti del diritto di tipo terziario, originate appunto dalla ripetizione generale della pratica. Il rischio è che un sistema di quel tipo potrebbe alimentare l’individualismo che, come sosteneva don Luigi Sturzo «sopprime la comunicazione della vita a nuovi esseri e toglie le basi della vera affettività spirituale».
Dunque rigore morale da riaffermare e difendere con urgenza, senza se e senza ma. Soprattutto senza lasciarci imbrigliare da considerazioni di comodo di persone che, attraverso l’istituto della solidarietà, nascondono spesso interessi personali e, qualche volta, anche connivenze.

 

*giornalista

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