Ultimo aggiornamento alle 22:16
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

Agrumicoltura abbandonata a se stessa

Quando l’offerta di un prodotto aumenta, i prezzi alla vendita diminuiscono. Non si scopre l’acqua calda: è un sacro principio economico. Gli è che, però, questo principio vale sempre, tranne che p…

Pubblicato il: 08/01/2016 – 10:33

Quando l’offerta di un prodotto aumenta, i prezzi alla vendita diminuiscono. Non si scopre l’acqua calda: è un sacro principio economico. Gli è che, però, questo principio vale sempre, tranne che per gli agrumi. Possibile? Basta andare in giro nelle campagne coltivate a clementine, arance o tangeli e si ha la prova provata che è così. Non è un problema solo di raccoglitori africani di cassette, ma, in gran parte, dei “compratori- commercianti” e della concorrenza soprattutto spagnola. 

Che cosa è accaduto l’anno scorso? L’annata precedente un mio intimo amico, proprietario, di poco più di un ettaro di clementineto era felice perché si trattava di “annata piena”, cioè c’era superproduzione. «Grego’, il tuo amico quest’anno potrà spendere e spandere. Perché, ci sono almeno cinque “carri di roba”. Cinque carri? Che significa cinquecento carri. 500 quintali di clementine. Le dovrà vendere a non meno di venti centesimi al chilo!». Come se avesse detto 50 o 60! Tira e molla, molla e tira, se il mio amico non avesse regalato la “roba” – per usare un termine caro a Camilleri – a dodici centesimi, detratta la quantità caduta a causa del maltempo e del passare dei giorni, lo sventurato coltivatore della domenica non avrebbe preso neanche duemila euro. E meno male che avrebbe potuto guadagnare 500 quintali per venti centesimi al chilo! Cioè diecimila euro. A fronte di 6mila e passa spese per la coltivazione, con annessi e connessi. Per cui la delusione è stata inimmaginabile. La sfregatura inizia delle mani,in segno di soddisfazione, si è tramutata in lacrime amare.
Neanche per le spese. Che bisogna fare per il prossimo anno? Secondo te, chiede il mio amico. Non lo so, forse val la pena vendere oppure coltivare regolarmente e far finta di niente. Il mio amico ha optato per la secondo soluzione. Stesse spese, stessi lavori, stessi antiparassitari, stessi operai con la speranza che il 2016 sarebbe stato meno nero. Non ne parliamo di quanto costa l’Enel per irrigare! Anche qui la Regione dovrebbe intervenire per far pagare la corrente elettrica – destinata ad uso irriguo e sistemata in terreni dichiarati agricoli al catasto – meno. Ma da questo punto di vista, nessuno è intervenuto, mai un provvedimento equo è stato adottato.
Così nel corso del 2015 si ripetono i lavori dell’anno precedente. Il risultato? Non si dovrebbe dire per la vergogna. Se l’anno precedente si potevano guadagnare diecimila euro – stesso terreno stessi lavori, stessi operai – quest’anno l’annata è stata tra le più povere che gli agrumicoltori della Piana di Gioia Tauro (non credo che nel coriglianese sia andata meglio) possano ricordare. Non ci sono stati frutti, come se non fosse stato fatto alcun lavoro, come se la merce l’avessero rubata. C’è stato un guadagno di 450 euro. Si avete letto bene, dai 500 quintali dell’anno scorso ai pochi quintali di quest’anno. Un”guadagno ridicolo” utile solo per pagare meno di niente. Ho consigliato al mio amico di fare – come lavori – il meno possibile. Questo significa che la produzione l’anno prossimo tornerà a essere scarsa ed, inoltre, che risparmiando di qua e risparmiando di là, dai seimila euro, se ne sarebbero spesi 5mila. Ed il guadagno. Tanto vale. Tentare non nuoce. E così sarà fatto.
Alla domanda sul valore del terreno, ai fini della vendita, accade come per le case in città. Tutte sfitte o invendute. Il terreno adesso vale la metà o poco più di sette-otto anni fa.
Cosa fare? Ecco perché la Regione deve, magari delegando ad un esperto, prendere in pugno la situazione agrumicola. Altrimenti il prossimo anno, ognuno dei proprietari dovrà decidere di (s)vendere o di abbandonare i terreni. Peccato di Dio! Anche per le conseguenze non solo climatiche. Se non coltivi la terra, che significa clementine, ma anche zucchine, cetrioli, cocomeri, lattughe ecc. in quantità casalinga, che resterà da fare ai contadini? Cosa si mangerà di davvero genuino? Se poi, nel 2015, aggiungiamo la caduta della cenere lavica dell’Etna, il quadro è completo. Di calamità naturale non se ne sente parlare, anche se la cenere ha bloccato il processo di maturazione, mentre il prodotto già maturo e pronto per la raccolta, è macchiato e non buono per la vendita. Forse solo per ricavarne succhi.
Si può andare avanti così? Certo che no!

*giornalista

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x