REGGIO CALABRIA «Confermate tutte le pene del primo grado». È questa la richiesta del sostituto pg Giuseppe Adornato al termine della sua requisitoria al processo d’appello “Epilogo”, scaturito dal procedimento che ha individuato e fermato le nuove leve dei Serraino, clan in grado di rigenerarsi dopo gli arresti e la morte dei capi storici, affidando le proprie sorti al cosiddetto “banco nuovo”. Giovanissimi ma feroci esponenti della storica cosca della montagna, tutti gli imputati sono stati puniti duramente in primo grado, con pene dai 26 ai 16 anni, che oggi la pubblica accusa ha chiesto di confermare.
LE RICHIESTE Alla Corte, il sostituto pg Adornato ha chiesto di condannare Fabio Giardiniere a 26 anni, Maurizio Cortese a 23 anni e 8 mesi, Alessandro Serraino a 18 anni, il vecchio boss Demetrio Serraino a 16 anni, Francesco Tomasello e Antonino Alati a 15 anni, e Giovanni Siclari a 13.
L’INCHIESTA Accogliendo in pieno l’impianto accusatorio del pm Giuseppe Lombardo – che ha coordinato l’inchiesta e sostenuto l’accusa nel dibattimento di primo grado – anche per il pg Adornato è questo il “banco nuovo” con cui il clan della montagna puntava a ricostruire il proprio impero, dunque è questo il vivaio da estirpare per spezzare la continuità criminale che ha fatto sì che alla sbarra ci siano i diretti discendenti di quella cosca Serraino, più e più volte condannata in precedenti dibattimenti.
UN CLAN STORICO E SEMPRE ATTIVO Secondo l’accusa, la famiglia mafiosa del clan della montagna ha continuato a sfornare nuovi eredi che si sono posti in assoluta linea di continuità con la strada perseguita da nonni, zii, padri. Eredi il cui percorso criminale può essere interrotto solo con condanne adeguate alla pericolosità sociale di aggregazioni – aveva spiegato Lombardo in primo grado – paragonabili a cellule terroristiche. I componenti del “banco nuovo” – è emerso dal dibattimento di primo grado – non sono vittime di contesti degradati o di un’educazione sbagliata, sono ragazzi che si muovono in un contesto di tipo mafioso che hanno pienamente accettato.
LA LEGGE DEI SERRAINO Conclusioni pienamente accettate dal Tribunale di primo grado che in sede di motivazione aveva sottolineato «Nessun evento delittuoso poteva consumarsi a Cardeto e dintorni senza che vi fosse il preventivo assenso della cosca Serraino», e allo stesso modo «solo le imprese che ricevevano l’avallo dei Serraino potevano lavorare in quelle zone». Dati che emergono chiaramente dalla viva voce dei protagonisti dell’indagine e dimostrano – si legge nella sentenza – «come la cosca Serraino fosse un unicum operante, secondo quanto già visto, nel territorio di Cardeto e zone limitrofe (ramo al quale appartengono gli odierni imputati Alati Antonino e Serraino Demetrio) e attiva, altresì, nel territorio di San Sperato attraverso le “giovani leve”, in gran parte imputati nel presente procedimento (Giardiniere Fabio Antonino, Cortese Maurizio, Tomasello Francesco e Siclari Giovanni). Discorso a parte merita Serraino Alessandro, trait d’union tra le giovani reclute e il ceppo storico di Cardeto, riconosciuto al vertice della cosca per diretto volere di Serraino Domenico, del quale ha ereditato la posizione di comando».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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