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Si sgonfia in appello l'inchiesta contro il clan Pelle

REGGIO CALABRIA Scricchiola l’impianto accusatorio dell’inchiesta Reale 5. Sebbene i giudici della Corte d’appello abbiano anche condannato imputati in precedenza assolti, sembra in generale sgonfi…

Pubblicato il: 14/01/2016 – 19:15
Si sgonfia in appello l'inchiesta contro il clan Pelle

REGGIO CALABRIA Scricchiola l’impianto accusatorio dell’inchiesta Reale 5. Sebbene i giudici della Corte d’appello abbiano anche condannato imputati in precedenza assolti, sembra in generale sgonfiarsi l’inchiesta che si riprometteva di fare terra bruciata attorno al defunto boss Antonio Pelle, colpendo chiunque abbia agevolato la sua latitanza. Alle assoluzioni del primo grado di Sebastiano Pelle, Giuseppe e Sebastiano Carbone, si aggiungono quelle di Sebastiano Pizzata e Roberto Crisafi, in precedenza condannati a due anni, e Giuseppe Pelle, in primo grado punito con 3 anni e 6 mesi. Cade anche l’accusa di mafia nei confronti di Antonio Pelle cl.87, condannato a 1 anno e 6 mesi in luogo dei 9 in precedenza rimediati, mentre sono state ribaltate le assoluzioni di Antonio Pelle cl. 86 e Domenico Carbone, condannati entrambi a 1 anno e sei mesi. La Corte ha infine confermato le condanne stabilite dal Tribunale di Locri per Domenico Larizza (9 anni), Domenico Pelle (3 anni e 6 mesi) e Giuseppe Marvelli (3 anni).
Al centro dell’inchiesta, la rete di alleanze della cosca Pelle di San Luca, «funzionale – si leggeva nell’ordinanza dell’epoca – alla gestione dei diversificati traffici illeciti ed al sostegno logistico dei latitanti, tra i cui il noto boss defunto Antonio Pelle». Nonostante la prolungata malattia, il mammasantissima per lungo tempo è riuscito a sfuggire agli investigatori, nascondendosi prima nella sua Locride – nei bunker di contrada Ricciolio, quindi a Careri, successivamente a Natile Vecchio di Careri – e poi in provincia di Cuneo. Infine, dal dicembre 2008 fino ad aprile/maggio 2009, Pelle aveva trascorso la latitanza a Santo Stefano d’Aspromonte. Un periplo ricostruito dagli inquirenti grazie alle intercettazioni, vera e propria ossessione degli uomini della cosca Pelle, tanto preoccupata dalla possibile presenza di cimici degli investigatori da aver selezionato tecnici che provvedevano a bonificare periodicamente mezzi e abitazioni, ma addirittura da sviluppare tecniche “artigianali” per sfuggire alle orecchie lunghe degli inquirenti: dialogare a voce molto bassa, inquinare le voci alzando il volume della radio o della televisione o, addirittura, non parlare. Precauzioni inutili: saranno proprio le intercettazioni a farli cadere.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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