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Sparò al convegno del ministro, è incapace di intendere e di volere

REGGIO CALABRIA Quando ha sparato un colpo in aria nei pressi del teatro comunale di Reggio Calabria, in cui il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva appena terminato il suo intervento, la …

Pubblicato il: 14/01/2016 – 15:20
Sparò al convegno del ministro, è incapace di intendere e di volere

REGGIO CALABRIA Quando ha sparato un colpo in aria nei pressi del teatro comunale di Reggio Calabria, in cui il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva appena terminato il suo intervento, la capacità di intendere e di volere di Fausto Bortolotti «era totalmente abolita». A metterlo nero su bianco è il perito nominato dal gup Antonio Laganà, accogliendo la richiesta del legale di Bortolotti, l’avvocato Giovanni De Stefano, che lo scorso 10 dicembre il suo assistito fosse sottoposto ad accertamenti clinici per mettere il giudici in condizioni di valutare le reali responsabilità dell’uomo.

DELIRANTE E PARANOIDE Per il dottore Giovanni Malara – che nel corso di due lunghe sedute ha sottoposto Bortolotti a numerosi test per valutarne lo status psichico, neurologico e psicologico – l’uomo non presenta «segni espliciti di pericolosità sociale in senso psichiatrico», tuttavia «il persistere, di sintomatologia produttiva (deliri ed allucinazioni) fa ritenere possibile che sollecitazioni emotivo-affettive soggettivamente inelaborabili possano tradursi in comportamenti che pongano a rischio la comunità e la sicurezza ciel soggetto stesso». Traduzione: se messo sotto stress, Bortolotti, affetto da disturbo delirante e paranoideo della personalità, potrebbe diventare pericoloso per se stesso e per gli altri. Patologie che necessitano dunque di un attento seguito da parte di uno specialista, ma paradossalmente entrate come elementi da valutare nell’ambito del procedimento a carico dell’uomo solo alla vigilia del giudizio.

MAI ESAMINATO DA UNO PSICHIATRA Nel corso delle indagini, mai Bortolotti – in carcere dal 28 marzo scorso – è stato sottoposto a perizia psichiatrica. «Il dramma vero – si legge in una nota del legale – è che ai tempi d’oggi un ammalato sia rimasto in carcere – esposto a mille pericoli proprio a causa delle sue condizioni mentali e in preda alla sue paure – quando un principio elementare della legge penale prescrive che chi è incapace di intendere non possa essere neppure processato ma debba essere curato in modo adeguato. La scure della legge in questo caso – forse in ossequio a un malinteso senso di coerenza con l’iniziale ipotesi investigativa – ha colpito forse in maniera eccessiva».

VOLEVO FARMI ARRESTARE Eppure Bortolotti, fin dal principio, non solo ha parlato con gli inquirenti, ma li ha anche resi partecipi dei propri deliri. «Volevo sparare ed essere arrestato perché in carcere mi sentivo più sicuro. Vedendo tutta quella gente e la polizia ho deciso di sparare», ha ammesso fin dalle prime battute l’uomo, che in sede di interrogatorio non ha esitato a chiarire anche la precisa dinamica dell’accaduto. «Ho sparato due colpi in aria e ho posato la pistola sul sedile, ho percorso circa due metri a bordo della macchina quindi mi sono fermato e all’arrivo dei poliziotti ho alzato le mani e ho indicato la pistola sul sedile».

L’ARMA Una pistola che non aveva il permesso di detenere, ma che gli era stata data «da tale Calogero, un ligure ora morto», di cui un amico – diligentemente indicato con tanto di numero di telefono e indirizzo – potrebbe ricordargli le complete generalità. «Negli ultimi giorni di vita – racconta con calma agli investigatori – Calogero venne da me e mi diede la pistola, io la presi e la tenni per difendermi dai ladri». In realtà – non ha esitato ad ammettere – negli anni l’avrebbe utilizzata anche per sparare a un cinghiale agonizzante e a un cane ferito, ma mai l’avrebbe rivolta contro esseri umani. «Quel giorno la presi – dice – perché mi sentivo braccato». Il riferimento di Bortolotti è agli ultimi giorni di marzo, quando – preso dal panico – avrebbe deciso di lasciare la sua casa a Ventimiglia per dirigersi «il più lontano possibile».

PERSEGUITATO Di fronte al gip, investigatori e inquirenti, l’uomo racconta: «Sono partito venerdì mattina perché a casa mia mi sentivo minacciato da tale Palizzi Christian. È un ragazzo di 25 anni che mi ha minacciato più volte di morte. Vuole che gli lasci la mia eredità». Minacce iniziate circa un anno prima del suo arresto e reiterate per mesi di cui Bortolotti – stando a quanto dichiarato – avrebbe messo a conoscenza inquirenti e investigatori di Ventimiglia, sporgendo regolare denuncia, ma senza che la cosa avesse alcun esito. Per questo – riferisce – l’ennesima minaccia ricevuta dal venticinquenne sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. «L’ultima volta mi ha minacciato due giorni prima della mia partenza» racconta Bortolotti, che afferma «ho preso da casa un paio di scarpe, il portafogli e sono partito per il più lontano possibile. Lungo il tragitto mi sono fermato vicino Caserta dove ho dormito e mi sono rifocillato. Arrivato a Reggio Calabria ho visto tanta polizia, non sapevo ci fosse il convegno».

LA FUGA In città – aggiunge – in passato c’era stato solo «di passaggio per le isole Eolie». E di fatto proprio la Sicilia, quanto meno nei piani, sarebbe dovuta essere la sua destinazione finale. Poi avrebbe deciso di fermarsi a Reggio Calabria «perché ero stanco». «Ho girato cercando un posto di polizia, perché volevo sparare ed essere arrestato perché in carcere mi sentivo più sicuro», spiega con candore a investigatori e inquirenti. Una versione quasi paradossale, ma che sembra confermata da alcuni degli oggetti che portava con sé, come la foto del misterioso Christian che lo avrebbe terrorizzato al punto da indurlo a lasciare in fretta e furia Ventimiglia. «La tengo da anni come foto di un amico e poi dietro ci sono dei dati che potevano essere una pista nel caso in cui mi fosse successo qualcosa». Indicazioni che stando agli atti del fascicolo non sono state verificate, tanto meno è stato identificato il misterioso venticinquenne. Allo stesso modo, dagli atti non risulta sia stato contattato quel Davide che stando a quanto dallo stesso Bortolotti indicato sembrerebbe essere l’unica persona a lui vicina. Nonostante le indagini siano chiuse e il procedimento sia alle porte del giudizio, rimane un mistero. Che forse la perizia psichiatrica potrebbe aiutare a svelare.

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