Lo definiscono il “mercato parlamentare” sondare deputati e senatori e trattare il loro passaggio da uno schieramento all’altro, da un gruppo all’altro. Tra Camera e Senato ormai sono ben 226 i parlamentari che hanno cambiato casacca negli ultimi tempi; un dato che farebbe arrossire persino il mitico Scilipoti considerato un antesignano del salto della quaglia. Chi non ricorda Razzi e Scilipoti che nel 2010 votarono la fiducia al governo presieduto da Silvio Berlusconi alle prese con la crisi scatenata dall’addio alla coalizione di Gianfranco Fini?
Sembra che salire sul carro del vincitore, o del presunto tale, sia divenuta una pratica ricorrente; a giudicare dai dati, tanti sono coloro che sarebbero rimasti folgorati sulla via di Damasco. Tanto, se le cose dovessero cambiare, c’è sempre tempo per invertire la rotta.
Il Corriere della Sera nei giorni scorsi ha pubblicato una puntigliosa analisi dalla quale emerge tutta la fragilità della coerenza dei nostri rappresentanti in Parlamento soprattutto se comparata con gli impegni assunti con gli elettori in campagna elettorale. Tanto sono abituati a dire una cosa e, se del caso, l’esatto contrario, considerato che saranno sempre gli altri ad aver capito male.
In un tourbillon del genere anche i gruppi subiscono modifiche rispetto ai risultati delle elezioni e di fatto si falsa tutto il sistema della rappresentanza voluta dagli elettori. Un vero e proprio tracollo, infatti, lo ha subito il “Popolo delle libertà” con la fuoriuscita di Alfano che governa con il Pd, ma anche Scelta Civica che ha concluso l’alleanza con l’Udc e, a seguito delle espulsioni e delle dimissioni, anche il Movimento 5 Stelle ha subito una decurtazione.
Chi ha battuto ogni record attraversando tutti gli schieramenti è la deputata calabrese Dorina Bianchi che, eletta nelle liste del Pd, è transitata nel Pdl per approdare, al momento, nel Nuovo centrodestra.
Interessante sarebbe conoscere le motivazioni (quelle vere e non quelle di facciata) che determinano il cambio di casacca; forse si scoprirebbe che la melodia non è sempre gradevole se alla Camera giace dal 2013 una proposta di modifica del regolamento etico nel quale si afferma, tra l’altro, che «stanno crescendo nell’opinione pubblica, ormai già da alcuni anni, sentimenti di profondo disagio e di diffusa insofferenza per la condotta di uomini politici, appartenenti a diversi schieramenti, che tengono comportamenti per più versi riprovevoli, diretti ad assicurare a sé o ad altri indebiti vantaggi dall’esercizio delle funzioni pubbliche o ad abusare dei propri poteri e delle risorse loro affidate. Al discredito e alla delegittimazione delle istituzioni democratiche del Paese indubbiamente concorrono anche informazioni relative alla condotta pubblica e privata di uomini politici i quali non dovrebbero mai perdere di vista una propria specifica esemplarità». Sembra che a determinare i proponenti ad “aggiornare” il regolamento etico abbiano concorso anche i numerosi casi di passaggio da un partito all’altro che, bisogna riconoscere, non sempre nasconde un interesse personale. Può accadere che una decisione così forte possa scaturire da altri motivi come una maturazione del percorso politico che non consente più di condividere le idee e programmi del partito di provenienza. In tal caso, però, dovrebbe subentrare l’etica che ha due strade: o le dimissioni oppure, data per ammessa la possibilità di farlo, la convocazione degli elettori che hanno dato al deputato la preferenza e ottenere il nullaosta per il passaggio nel nuovo partito.
È vero che l’articolo 67 della Costituzione recita che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», dunque senza dover rispondere sia alle indicazioni del partito che agli elettori che lo hanno votato; tuttavia il problema si pone e sono in tanti a chiedere se è accettabile, sul piano etico e morale, che un candidato, eletto in Parlamento si spera per le idee espresse in campagna elettorale e anche in funzione del partito politico nelle cui liste si è candidato, possa cambiare schieramento fino ad approdare in una formazione ideologicamente opposta a quella di provenienza. Probabilmente in presenza di fatti così traumatici c’è da chiedersi se non sia giusto un provvedimento di decadenza senza che il caos trionfi sulla morale, perché il caos comporta flessibilità e adattabilità se non avventatezza e arbitrarietà; la moralità, invece, implica l’onore, l’affidabilità, l’essere degni di fiducia. Purtroppo nella società che siamo riusciti a costruire questi valori sono divenuti rari, se non inattuali.
Ciò che manca è il senso della fiducia nei rapporti forse perché non sempre l’altro agisce e si comporta in maniera corretta. E allora bisogna costruire una società politica diversa. E non è difficile. Sarebbe sufficiente cambiare un po’ di cose: dal ceto politico che sembra inamovibile; a non accettare l’ipotesi di un Parlamento fatto prevalentemente di nominati; a rendersi conto che è ancora peggio perdere la fiducia nelle istituzioni perché ciò pregiudicherebbe qualsiasi bisogno di cambiamento sostanziale. Per ottenere tutto questo, come affermava già Aristotele quando ipotizzava un dominio del mondo, quindi una “scienza politica”, di tipo culturale e civile: «Solo un uomo virtuoso potrà essere un buon governante o anche solo un buon governato, cioè un buon cittadino».
*giornalista
x
x