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Un viaggio nella storia con Adelmo Cervi

REGGIO CALABRIA Adelmo Cervi entra nell’auditorium della sala “Lucianum” di Reggio Calabria indossando una felpa rossa col volto di Che Guevara. «Chi lotta può perdere; chi non lotta ha già perso»,…

Pubblicato il: 17/01/2016 – 14:17
Un viaggio nella storia con Adelmo Cervi

REGGIO CALABRIA Adelmo Cervi entra nell’auditorium della sala “Lucianum” di Reggio Calabria indossando una felpa rossa col volto di Che Guevara. «Chi lotta può perdere; chi non lotta ha già perso», recita la scritta sulla maglia. Adelmo è il figlio di Aldo, uno dei sette fratelli Cervi torturato e ucciso dai fascisti il 28 dicembre 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia. È impegnato in un tour in Calabria per promuovere il suo libro “Io che conosco il tuo cuore”. Sul palco con lui, Lello Signoriello, membro del Csoa Cartella e la giornalista del Corriere della Calabria Alessia Candito. L’argomento non riguarda tanto il libro e la sua storia, quanto i fatti incresciosi che hanno coinvolto la città di Modena, sede di scontri e disordini tra antifascisti ed esponenti di Forza Nuova a seguito di una manifestazione indetta dal leader del movimento Roberto Fiore e autorizzata dal prefetto – nonostante il parere contrario del sindaco – in una città Medaglia d’oro per la Resistenza italiana. «Oggi è avvenuta una cosa gravissima – commenta Signoriello –. I fatti di oggi sono l’espressione di questo governo. Noi esprimiamo solidarietà ai compagni modenesi e alla città antifascista». 
Giusto il tempo di abbassare le luci in sala e tre video introducono il libro di Cervi. Sono documentari che raccontano la vita della famiglia a partire dal nonno Alcide e la vita contadina nelle campagne emiliane. Mostra l’avvicinarsi di Aldo all’antifascismo durante gli anni della prigionia, il tutto supportato dalle testimonianze di chi era vicino alla famiglia: Antonietta Cervi, figlia di Aldo e Walter Cervi, un cugino. Si legge a turno l’incipit del libro, ma è proprio l’autore a sorprendere tutti dicendo: «Non posso parlare del mio libro. Sarebbe bene farlo quando tutti l’avrete letto. Diamoci appuntamento per un altro incontro». Dopo un semplice commento sui fatti già discussi («Quello di oggi è un semplice rigurgito di neo fascismo»), Adelmo Cervi si sofferma sulle foto proiettate alle sue spalle dall’inizio del dibattito; punto di partenza della sua storia. Gli scatti mostrano due ritratti di famiglia a distanza di due anni l’una dall’altra. Nella prima si ha la famiglia Cervi al completo: la nonna con i nove figli («Non tutti sanno che i sette fratelli avevano due sorelle», commenta); nell’altra quattro donne vestite di nero, sono alle spalle di un nutrito gruppo di bambini. In prima fila, il piccolo Adelmo siede sulle gambe del nonno. «Le donne della mia famiglia hanno pagato un prezzo più pesante dei loro mariti – racconta Cervi con fermezza –. Basta guardare il volto di queste vedove per capire cosa abbiano dovuto passare. I fascisti non hanno ucciso solo i sette fratelli Cervi; hanno anche ucciso la madre».
Racconta Cervi la forza di questa donna che si è trovata a gestire una famiglia composta da undici nipoti, dove il più grande aveva otto anni e il più piccolo era nato due mesi dopo la fucilazione. Nel libro riporta l’epigrafe che Calamandrei ha dedicato alla nonna, morta a distanza di un anno dalla fucilazione dei figli. «Anche prima le donne della mia famiglia sono state importanti, perché casa Cervi non è stata una casa di latitanza nell’ultimo periodo della guerra partigiana; casa Cervi era già una casa di latitanza negli anni 40, quando tanti dirigenti del Partito comunista avevano bisogno di essere nascosti da qualche parte e casa Cervi era nascondiglio di tutti. Le donne – continua l’autore – sono state quelle che hanno fatto tanto prima e dopo, perché spesso, in casa, si trovavano anche una ventina di persone. Dovevano sfamarle, lavare i loro vestiti, nasconderle. Spesso si pensa che la Resistenza sia stato un fenomeno prettamente maschile. Ci si dimentica il ruolo che hanno avuto le donne nella lotta partigiana, questo perché viviamo in un mondo maschilista che – ancora oggi – non sa come trattare le proprie donne». L’iniziativa è stata organizzata dal “Csoa Cartella”, dall’associazione “Nuvola Rossa”, dal sindacato “Cobas scuola” e dall’area programmatica Cgil “Il Sindacato è un’altra cosa”. Nella serata, una cena conviviale con Adelmo Cervi e il rapper reggino Kento, ospitata nei locali dell’associazione “Nuvola Rossa” di Villa San Giovanni.

Miriam Guinea

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