LOCRI Sulla paternità dei pizzini minatori non c’è ancora alcuna evidenza indiziaria. Per il momento l’ex presidente dello Sporting Locri, Ferdinando Armeni, è una “persona informata” sui fatti. E come tale è stato sentito venerdì scorso, per la seconda volta, dai carabinieri di Locri, su mandato della Procura. L’ex dirigente è stato convocato per fare luce sulle ultime vicende che hanno interessato la squadra femminile di calcio a 5 e, in particolare, sui biglietti minatori rinvenuti dallo stesso Armeni nella propria auto. Un interrogatorio lungo, durato cinque ore, durante il quale è stato ricostruito il contesto nel quale si trova a operare la società finita al centro dell’attenzione nazionale. I militari hanno cercato di approfondire anche la situazione personale di Armeni, per verificare se esistano o meno particolari ragioni “ambientali” che possano aver contribuito a farlo finire nel mirino della criminalità locale. L’inchiesta, intanto, va avanti.
L’ex presidente aveva trovato un pizzino vicino al passeggino del figlio con una frase inquietante: «Sai chi siede in questo posto, vero?». Dopo la denuncia alle forze dell’ordine e l’assegnazione della scorta, Armeni aveva inizialmente deciso di ritirare la squadra, poi rilevata da un’altra cordata di imprenditori.
IL RETROSCENA Dopo il grande clamore mediatico suscitato dalla vicenda, Il Giornale – citando fonti della Procura di Locri – aveva pubblicato alcune indiscrezioni in base alle quali le minacce sarebbero inesistenti o addirittura «autoprodotte», a causa di problemi finanziari di «qualche dirigente (o ex dirigente) dello Sporting». La ‘ndrangheta, secondo questa ricostruzione, non c’entrerebbe nulla con le intimidazioni ad Armeni e alle calciatrici della società. Così come confermato dal procuratore capo di Locri, Luigi D’Alessio.
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
x
x