Non c'erano i clan dietro il resort di Bruzzano Zeffirio

REGGIO CALABRIA È con due assoluzioni tombali «perché il fatto non sussiste» che la Corte d’appello di Reggio Calabria ha ribaltato la sentenza di primo grado del procedimento Metropolis. Cadono dunque tutte le accuse tanto per Daniele Scipione, difeso dagli avvocati Francesco Albanese e Maurizio Punturieri, come per Giuseppe Carrozza, difeso dai legali Rocco Guttà e Maria Tripodi. In primo grado condannati rispettivamente a 4 anni di carcere e a 2 anni e 6 mesi di carcere, Scipione e il cognato Carrozza erano entrambi accusati di intestazione fittizia di beni. 
Per gli inquirenti, dietro la loro Cagim impegnata nella costruzione del complesso residenziale Palm view di Bruzzano Zeffirio, si nascondeva in realtà il clan Morabito, vero e proprio regista dell’edilizia residenziale e turistica lungo tutta la costa jonica. Un’accusa che oggi per i giudici non ha ragione d’essere, ma che per i magistrati si ancorava a una serie di circostanze molto concrete, come il ruolo del direttore dell’ufficio tecnico del Comune di Bruzzano Zeffirio Francesco Sculli – padre del noto calciatore e parente dei Morabito, in nome dei quali per i magistrati agiva – che non solo avrebbe fornito alle imprese coinvolte tutti i permessi necessari in tempi più che rapidi, ma più volte avrebbe rappresentato la società in una serie di riunioni, pur non figurando nella compagine sociale.

a. c.