REGGIO CALABRIA «Il tesoriere doveva essere quanto meno distratto». È laconico, ma significativo il commento di un investigatore che ha curato il sequestro di 85mila euro disposto a carico di Rocco Giovanni Maesano, ex dirigente delle Finanze del Comune di San Lorenzo, accusato di essersi autoliquidato la somma, grazie ad una serie di mandati di pagamento totalmente fasulli, intestati a sé o al figlio Giuseppe. A liquidarli senza batter ciglio è stato il tesoriere dell’ente, individuato da specifica convenzione nella filiale 1000 del Banco di Napoli. Nessuna contestazione viene mossa – allo stato – all’istituto di credito, ma di certo investigatori ed inquirenti sembrano essere rimasti più che perplessi di fronte all’atteggiamento della banca. Presentandosi allo sportello, senza troppi problemi Maesano è riuscito a non solo a farsi pagare due mandati di pagamento da 20mila euro, intestati a se stesso e controfirmati dal suo ufficio – dunque da lui – ma anche a farsi liquidare, senza patemi, un terzo mandato di pagamento intestato al figlio. Per magistrati e gip, si tratta di liquidazioni totalmente illegittime che fanno il paio con una serie di mandati di pagamento fasulli trovati agli atti del Comune, tuttavia quello che gli inquirenti non si spiegano è come siano stati così facilmente liquidati. Nessuno in tesoreria si è accorto che il beneficiario presentatosi per farsi liquidare l’assegno aveva le stesse generalità del dirigente dell’ufficio che aveva emesso quel mandato? E ancora, come è stato possibile mettere in mano un assegno da 45mila euro a un beneficiario diverso da quello indicato sull’atto di pagamento? Domande ancora senza risposta, ma che già in passato la procura è stata costretta a porsi in relazione al medesimo istituto di credito.
Nel corso del processo Fallara, che ha svelato le responsabilità dell’ex sindaco Giuseppe Scopelliti e del collegio dei revisori dei conti, la filiale del Banco di Napoli che faceva da tesoriere al Comune di Reggio Calabria è finita sul banco dei testimoni. Di fronte al tribunale sono stati convocati diversi impiegati, ma anche l’allora direttore Giuseppe Callea e il suo predecessore, Roberto Bonfanti. Dagli accertamenti, era emerso infatti come l’istituto di credito avesse più volte evaso mandati di pagamento alterati o corretti a penna, nonostante fosse espressamente vietato dalla convenzione. Circostanza confermata in aula in modo netto dai dipendenti e più sfumato dai dirigenti, ma emersa in modo cristallino. Allo stesso modo, è finita al vaglio del tribunale la segnalazione dell’Agenzia delle entrate, che alla procura aveva comunicato come non fossero state versate ritenute fiscali – tasse erariali e Irpef – relative agli stipendi dei dipendenti e pagamenti dei professionisti per quasi diciassette milioni di euro. Un “mistero” spiegato dall’ex direttore Bonfanti che al tribunale aveva spiegato che «l’Ente inviava alla Tesoreria un mandato cumulativo, relativo agli stipendi e ai contributi previdenziali, ma le ritenute fiscali non erano comprese. Per queste era necessario un mandato a parte che l’Ente si doveva preoccupare di farci avere». Un procedimento informatizzato nel 2009 e da allora impossibile da aggirare, ma che in passato aveva lasciato ampio margine di discrezionalità agli enti.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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