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Per Gratteri una spedizione “preventiva”

Ricordate la “Falange armata”? Era una sigla che con le sue rivendicazioni metteva d’accordo tutti: cosche mafiose, cappucci deviati, pezzi dei servizi segreti in combutta con il peggiore lobbismo …

Pubblicato il: 22/01/2016 – 23:00
Per Gratteri una spedizione “preventiva”

Ricordate la “Falange armata”? Era una sigla che con le sue rivendicazioni metteva d’accordo tutti: cosche mafiose, cappucci deviati, pezzi dei servizi segreti in combutta con il peggiore lobbismo politico. Fa riferimento, come modello, alla “Falange armata” uno degli inquirenti che sta cercando di venire a capo della grave intimidazione messa in atto contro il procuratore aggiunto Nicola Gratteri. Non che vi sia alcuna rivendicazione, ma lo stile è quello ed anche il contesto pare assimilabile a quelli nei quali interveniva la “Falange armata”.
A dieci giorni dall’episodio, le indagini non hanno raggiunto risultati apprezzabili. Anche la ricostruzione appare ancora lacunosa ma su un punto non solo vi sono conferme ma anzi si raccolgono ulteriori elementi di riscontro: è stata un’azione studiata a tavolino e nei minimi particolari. Nessun possibile equivoco: i falsi poliziotti sono andati direttamente all’obiettivo. Non hanno raccolto informazioni, non hanno chiesto in giro. Sapevano dove abitava lo studente figlio del procuratore aggiunto. Hanno citofonato ed hanno anche chiesto con chi parlavano. Se non sono riusciti ad arrivare al contatto fisico è solo perché i piani sfalsati dell’appartamento dove risiede il giovane hanno indotto in errore i falsi poliziotti, che sono usciti dall’ascensore al quarto piano invece che al terzo. Non fosse stato per questo fortunato “equivoco” si sarebbero ritrovati faccia a faccia con la loro vittima. E che non intendessero evitarlo lo dimostra, inequivocabilmente, il fatto che i due falsi poliziotti indossavano un passamontagna per celare il viso. Del resto è stato questo dettaglio ad allarmare lo studente e a consentirgli di barricarsi in casa lasciando fuori i due soggetti.
Nei giorni scorsi Nicola Gratteri ha potuto parlare di questo e di altri dettagli con il ministro della Giustizia che ha sollecitato indagini approfondite e non ha nascosto la sua preoccupazione, così come non ha nascosto, sempre il ministro, stupore per il “silenzio” dell’Associazione nazionale magistrati sulla grave vicenda. Un silenzio sottolineato da Roberto Galullo su Il Sole24ore:
«Vorrei sottolineare – scrive Galullo – che non una parola una si è levata dall’Associazione nazionale dei magistrati che sul proprio sito, in alto a destra, orgogliosamente riporta: “L’Anm è l’associazione a cui aderisce circa il 90% dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura”. Maurizio Carbone, segretario generale dell’Anm, nel corso dell’ultimo congresso nazionale aveva ribadito: “Oggi l’Anm ha la rappresentanza del 90% dei magistrati italiani e abbiamo il dovere di difendere la storia e i valori in cui ci riconosciamo”. Ho controllato – aggiunge Galullo – sul sito dell’Anm: dal 28 ottobre 2009 al 25 settembre 2015 sono stati diffusi 51 comunicati di solidarietà a magistrati intimiditi. Di Gratteri neppure l’ombra (e dire che il magistrato di Locri/Gerace potrebbe riempirci un album di figurine Panini). Evidentemente l’Anm, la magistratura e i magistrati trovano il tempo di scoprire che c’è un collega (non iscritto) che si chiama Gratteri solo quando costui rischia di diventare ministro della Giustizia (iattura da evitare per il carico di idee innovative, alcune delle quali a scapito della sua stessa categoria, che porterebbe con sé). Ma – comunque – senza mai farne neppure il nome. “L’inopportunità che un magistrato in servizio vada a ricoprire una funzione apicale del potere esecutivo come quella di ministro della Giustizia deriva dalla necessità di non confondere i ruoli. A prescindere dai nomi e dalle qualità delle persone. Se vogliamo difendere l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione, occorre una distinzione netta con l’ambito dell’attività politica e di governo”: così si esprimeva il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli dopo la nomina del Guardasigilli nel governo Renzi (Corriere della Sera, 23 febbraio 2014)».
Tornando alle indagini, se permangono difficoltà sul piano dell’individuazione dei responsabili, su un punto convergono le analisi degli inquirenti: l’intimidazione va letta non in chiave “punitiva” ma in chiave “preventiva”. Non si tratterebbe, cioè, della reazione al lavoro fatto ma del tentativo di condizionare scelte ed attività che in queste settimane ruotano attorno al procuratore aggiunto Nicola Gratteri e alle sue valutazioni.
Fuori di metafora, il pensiero corre ad una intervista “senza rete” che Nicola Gratteri rilasciò al Tg3 Calabria il 19 settembre scorso, a margine di un convegno tenutosi a Lamezia Terme. Gratteri disse del suo futuro e parlò fuori dai denti: «Penso che potevo aspirare a diventare procuratore di Reggio Calabria. Ora c’è Cafiero de Raho che è sicuramente un bravissimo procuratore, ma certo non può conoscere la ‘ndrangheta come la conosco io. Quindi, forse potevo fare io il procuratore». Incalzato dalle domande di Riccardo Giacoia, poi Gratteri aggiunse: «Due anni fa ho fatto domanda come procuratore di Reggio Calabria. Sono in magistratura da trent’anni, penso non esista una persona che per trent’anni di seguito abbia contrastato la ‘ndrangheta. Ora me ne devo andare dalla Dda di Reggio Calabria perché dopo otto anni bisogna cambiare. Se non vado via da Reggio – ha aggiunto – torno alla Procura ordinaria, mentre l’alternativa è andarmene da Reggio Calabria e trovare posto in un’altra Procura. Penso che la troverò, perché conviene. Perché se non mi danno un posto da procuratore dovranno vedersela con queste migliaia di persone che mi vogliono bene e che questa volta non lo accetteranno».
Qualche settimana più tardi il nome di Gratteri compare tra i più accreditati per la nomina al vertice della Procura di Milano o di Catanzaro. Fa sapere che è pronto ad accettare la guida della Dda di Catanzaro, una vera e propria iattura per quegli “ambienti” che puntavano, invece, ad una conclusione senza prosieguo degli otto anni passati in forza alla Dda reggina. Nasce in questo contesto la decisione di ricordare, con truculenza, a Gratteri l’italico motto “tengo famiglia”?

Paolo Pollichieni
direttore@corrierecal.it

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