LOCRI È di quattro anni di carcere, più l’obbligo di risarcire gli enti che ha truffato, la condanna che il Tribunale di Locri ha inflitto all’ex paladina dell’antimafia Rosy Canale, definitivamente tramontata dopo l’inchiesta che l’ha fatta finire in manette perché accusata di aver tenuto per sé i fondi destinati al “Movimento delle donne di San Luca” da lei fondato, per spenderli in autovetture, mobili, vestiti, viaggi.
LA PARABOLA DELLA PASIONARIA Ex titolare di una discoteca, dopo anni trascorsi tra gli Stati Uniti e Roma, all’indomani della strage di Duisburg torna in Calabria, accreditandosi come vittima di violenza mafiosa – ha subìto un pestaggio quando gestiva il locale notturno – e punta su San Luca e le sue donne, con le quali costituisce un Movimento. Un progetto studiato a tavolino – si legge nell’ordinanza – tra incontri istituzionali e campagne mediatiche che sembrano preoccupare l’autoproclamata presidente Canale molto più delle sorti dell’organizzazione che avrebbe dovuto costruire una speranza di lavoro e riscatto per quelle donne.
ANTIMAFIA MA NON TROPPO «Come si vedrà in seguito – scrive il gip nell’ordinanza d’arresto – il risalto mediatico che deve suscitare il movimento anche in ambito nazionale diventerà una prerogativa essenziale per la sua riuscita e soprattutto per la sua presidente che risulterà cavalcare, a seconda o meno che l’occasione lo richieda, la vocazione antimafia del movimento per fini non proprio attinenti alla natura dello stesso». Non a caso, se la Canale non esita a denunciare «sia telefonicamente sia a mezzo di comunicati stampa» minacce ed episodi che «risulteranno infondati, con l’unico scopo di cavalcare l’allarme sociale, soprattutto nel periodo storico immediatamente successivo alla cosiddetta faida di San Luca, in modo da acquisire credibilità sia in campo politico che nel contesto dei rapporti con soggetti istituzionali», la stessa starà ben attenta a farsi dipingere come attivista antimafia. È quanto succede ad esempio con la giornalista di Iodonna, invitata a più riprese dalla Canale a glissare sulle pesantissime parentele delle donne del Movimento, come sulla caratura criminale di Antonio Pelle, originario proprietario dello stabile in cui sorgeva la ludoteca, primo progetto e fiore all’occhiello dell’associazione. «Bisogna dirlo nel modo giusto – dice alla giornalista – nel senso che bisogna trovare il linguaggio affinché chi legge non abbia modi di interpretarlo in maniera diversa». Cautele che per gli inquirenti hanno un’unica spiegazione: «Tutto questo per evitare che qualcuno possa fomentare la rabbia della famiglia Pelle». Proprio quella ludoteca – affermano i magistrati – «assurge ben presto a “collettore di potere”, non solo per il prestigio e il risalto mediatico ma anche in quanto convogliatore di risorse economiche destinate all’impiego “del bene frutto dell’antimafia”». È, quell’immobile, un passepartout per accedere a politici e istituzioni e anche «per il perseguimento di interessi personali, di natura economica ma anche politica».
a. c.
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