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Il Pd riparta dalle sezioni. E dalla sinistra

Le sezioni del Pd e gli iscritti disseminati su tutto il territorio nazionale debbono essere considerati una grande risorsa per la crescita del partito, per la democrazia in Italia e per il buon go…

Pubblicato il: 23/01/2016 – 18:13

Le sezioni del Pd e gli iscritti disseminati su tutto il territorio nazionale debbono essere considerati una grande risorsa per la crescita del partito, per la democrazia in Italia e per il buon governo delle istituzioni. Io mi preoccuperei molto se le sezioni e gli iscritti diminuissero. Eviterei di parlare di razionalizzazione, piuttosto andrei a verificarne le cause, i motivi reali per cui chiudono i circoli e scappano gli iscritti. Nel 2012 c’erano in Italia ben 6800 sezioni con 800mila iscritti, oggi si registra un calo delle sezioni del 30% e del 40% degli iscritti; vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Questi sono dati allarmanti, questo è un risultato negativo che ha bisogno di una riflessione profonda. Questo è il quadro che emerge al centro e nelle periferie, un quadro che prefigura la nascita di un nuovo partito più leggero, più agevole e quindi più controllabile dal centro di comando attraverso la nomina e la collocazione di commissari che gestiranno i circoli sulla base delle direttive, indiscutibili, che verranno loro impartite dai potenti di turno. 
Le motivazioni addotte, da parte dei dirigenti nazionali, per questo indebolimento, per questa disaffezione delle persone verso la politica e le istituzioni, mi sembrano risibili e quantomeno fuorvianti. Secondo valutazioni ed analisi spassionate e disinteressate, emerge invece ciò che molti, attenti, qualificati ed autorevoli osservatori affermano, con dovizia di particolari da diverso tempo. A nessuno può sfuggire che negli ultimi anni si è incardinato in Italia, un lento ma progressivo avvicinamento verso un percorso politico/istituzionale che ha snaturato la vera identità culturale su cui poggiava la ragion d’essere del Partito democratico. Nelle norme statutarie e nel regolamento è scritto a chiare lettere e confermato dalla direzione nazionale che il Pd è un partito di sinistra che si colloca saldamente nella socialdemocrazia europea. Questi dettati normativi ponevano e pongono il Partito in una collocazione di alternativa netta alla politica di destra, a scelte conservatrici ed autoritarie che sono state fatte in un passato remoto, ancora presente nel pensiero degli italiani per gli orrori della guerra, della fame, della povertà e delle discriminazioni razziali, e in un passato prossimo i cui protagonisti continuano ancora oggi, con la complicità di alcune forze politiche tra cui la nostra, a fare disastri nel governo nazionale e nelle periferie. Non possiamo ignorare la vicinanza dimostrata alla destra sulle riforme costituzionali e su altre scelte di destra dettate dagli alleati di governo, (Ncd ed amici di Verdini) alleati non affatto voluti dal popolo della sinistra. La sinistra del Pd non veniva mai coinvolta in un confronto leale e chiaro per cercare di trovare la sintesi giusta sui problemi degli italiani. Ogni volta la discussione avveniva in direzione e poi, con la votazione a maggioranza, si assumevano le decisioni, procedimento legittimo ma non condivisibile in quanto la sinistra è stata sempre guardata con sospetto, con diffidenza. Considerata, pregiudizialmente, come la solita sinistra giustizialista, antiquata, fuori tempo, logorroica, una sinistra che non decideva mai. Una sinistra che voleva solo rovesciare il governo e non fare le riforme per modernizzare e innovare il Paese. Anche questa è una valutazione errata, perché la sinistra, non bisogna dimenticarlo, aveva vinto le elezioni con Bersani e con un programma preciso sui cui si sono pronunciati gli elettori. Programma puntualmente, in parte, snaturato dall’attuale governo che ha invece avuto una corsia preferenziale con la destra con la quale ha fatto anche scelte contro il volere di chi l’aveva votato. Se la sinistra avesse avuto ambizioni settarie, fosse stata una forza dalla cultura miope e superficiale, legata al potere per il potere ed avesse voluto mettere in difficoltà il Paese e sbarrare la strada alla legittima ambizione dell’attuale presidente del Consiglio e del suo governo, (come alcuni, in maniera pretestuosa, sostengono) certamente Bersani non avrebbe passato la mano così facilmente ed allegramente, avrebbe quantomeno preteso da parte del capo dello Stato di essere rinviato alle camere per tentare di mettere su una maggioranza e, in caso ciò non fosse stato possibile, avrebbe potuto chiedere nuove elezioni. Cosa invece che non ha fatto ma con alto senso di responsabilità ed umiltà, vista la drammatica crisi in cui si trovava il Paese, ha fatto un passo indietro, consentendo ad altri di tentare di formare un governo e dare risposte agli italiani che avevano votato la fiducia ad una squadra di centrosinistra con un preciso programma. Sia col governo Monti, sia col governo Letta e peggio ancora col governo Renzi, è stato snaturato il programma e disarticolata la squadra, non riconoscendo neanche a Bersani ed alla tanto vituperata sinistra il nobile gesto dell’umiltà, della responsabilità e della serietà e coerenza dimostrato, per il bene dell’Italia. Cosa che altri non hanno fatto, dimostrando un po’ di gattopardismo e machiavellismo. Anzi ci si è adoperati fin da subito a prendere le dovute distanze dalla sinistra interna ed esterna al Pd, trovando nuovi alleati nella destra e condividendone scelte e percorsi. Ciò non depone bene per chi è o vuole sembrare persona a cui interessa il progresso di una Comunità. Oggi si sta verificando ciò che molti temevano, l’illusione che governare con la destra e fare le riforme veloci ma un po’ annacquate avrebbe pagato in termini di crescita economica, sociale, culturale e morale ma principalmente in termini elettorali e di crescita politica.
I dati dimostrano invece, inesorabilmente, che intorno al Partito, allo stesso governo ed al popolo della sinistra si è creato un vuoto di consensi in quanto i sondaggi danno il Pd al 30% rispetto al 40,8% delle elezioni europee. A questo si aggiunge, checché se ne dica, una scarsa, per non dire nulla, ripresa economica, con un aumento del disagio sociale, con una non trascurabile fuga dai circoli e una conseguente diminuzione corposa di iscritti. Ciò dimostra non solo che sono state sbagliate le alleanze, le scelte governative ma anche e soprattutto le scelte di dirigenti che non hanno compreso appieno le strategie da adottare per dare le risposte giuste a chi aveva dato la fiducia a un leader con un programma ben definito. 
Bisogna tornare alle sezioni dentro cui è necessario ricominciare a parlare di politica solidale, di sociale, di cultura e principalmente di formazione di una nuova classe dirigente che sia veramente all’altezza delle sfide che ci attendono. Bisogna ricominciare a parlare con la gente e dei loro problemi, abbandonare il metodo del decidere subito. È necessario informarsi, studiare, riflettere cercando di maturare bene le decisioni che si vanno ad assumere, per evitare di fare presto, magari, ma combinando guai. Si sa, il Pd è un contenitore, formato da anime diverse, da uomini con culture differenti che per quanto si siano sforzati a rivisitare idee e contenuti che caratterizzavano il proprio modo di pensare, pur tuttavia non sono mai riusciti ad amalgamarsi completamente. Si è rimasti, forse, ingabbiati in un’area culturale composita, governata da diffidenze, sospetti, gelosie, chiusure ideologiche. Forse le varie anime si sono sempre preoccupate di perdere le rendite di posizione, quindi poche aperture al confronto vero e leale. Ognuno ha sempre giocato la partita in proprio, convinto di difendere l’identità di provenienza, senza mai convincersi che ciò era in netto contrasto con i principi fondanti della nuova formazione politica. Ognuno spostava sempre in avanti il grande momento della chiarezza, della verità, sperando che le future generazioni avrebbero innovato il loro modo di pensare, superando le diffidenze e adeguando la loro formazione culturale alle nuove esigenze ed aspettative del mondo moderno. Ciò non è avvenuto perché la dirigenza politica ed il partito, per come strutturati sul territorio nazionale, non hanno affatto aiutato questo processo di cambiamento, non hanno aiutato la crescita e la
formazione di una nuova classe dirigente omogenea e con idee non cristallizzate ma aperte al confronto con gli altri, riconoscendone la diversità di pensiero e nello stesso tempo lavorando per trovare una sintesi sui problemi. Ciò non è avvenuto anche perché ci si è avvitati sulla convinzione preconcetta che i giovani rappresentassero il cambiamento, l’innovazione e la modernità mentre gli altri rimanevano saldamente ancorati ad un passato vecchio, corrotto e del malaffare per cui erano di ostacolo al progresso e al rinnovamento del partito e del Paese. Da ciò la rottamazione per cancellare una realtà malata. Disconoscendo che per progredire verso un mondo migliore, verso nuove frontiere, bisogna conoscerne bene la provenienza. Detto ciò, si comprende bene come il nuovo partito sia stato veramente, nei fatti, una fusione a freddo tra ideologie cristallizzate e distanti, chiuse e in continuo contrasto tra loro. Da qui nasce e si sviluppa un percorso segnato da una contrapposizione assurda e immotivata tra vecchia e nuova generazione e di conseguenza non si sono affrontati in modo adeguato i problemi reali del Paese. 
Io sono convinto che questo partito, se vuole vivere ed andare avanti, va riorganizzato nella sua struttura non solo nazionale ma anche periferica, se si vuole veramente governare con le persone per bene ed oneste, con una coalizione di centrosinistra, e dare un contributo forte per fare uscire il Paese da questa catastrofe in cui lo ha gettato un ventennio di governo allegro e spendaccione. Dopo i noti fatti di cronaca nera che hanno coinvolto tutte le regioni, dopo il terremoto di mafia Capitale, dopo la bufera delle corruttele che ha attraversato tutta Italia e che ha interessato anche le forze di sinistra, molte persone schifate si sono allontanate dalle istituzioni creando un vuoto profondo. 
Bisogna fare chiarezza se si vuole restituire la fiducia alla gente che oggi è lontana e distante dai partiti. Bisogna voltare pagina, basta con le corsie preferenziali a destra, utilizziamo la nostra cultura, le nostre idee, i nostri progetti e i nostri giovani migliori e conquistiamo il nostro popolo, i nostri elettori e con la nostra identità confrontiamoci a viso aperto con le forze moderate e progressiste per vincere le prossime sfide che ci attendono e costruire un mondo che guarda al futuro con certezze per giovani e meno giovani che vogliono vivere senza odio, senza violenza ma nella solidarietà e nella pace.

* componente della direzione regionale del Pd Calabria

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