REGGIO CALABRIA «L’opinione pubblica deve sapere che si è trattato di un processo di mafia ma senza mafioso, forzatamente voluto dalla Procura poiché era il solo modo per poter utilizzare le intercettazioni telefoniche: unica fonte di prova della stessa accusa». Lo afferma, in una dichiarazione, Rosy Canale, la fondatrice dell’associazione antimafia “Movimento donne di San Luca” commentando la sentenza di condanna a suo carico emessa dal Tribunale di Locri. «Nessun riscontro documentale – prosegue Canale – accertato contro di me: solo parole. La sproporzione che l’intera vicenda contempla lascia fortemente perplessi, se non addirittura sgomenti. A partire dal mio arresto ingiustificato e spettacolare, fino ai 330 giorni di firma in commissariato per giungere a una richiesta di sette anni di reclusione da parte della pubblica accusa. Verrebbe da chiedersi: chi avrei ammazzato? Questo dimostra chiaramente come non ci sia stato da parte dell’ufficio di Procura un reale interesse a giungere alla verità dei fatti nell’interesse della collettività, ma solo un evidente accanimento contro la mia persona. Perché? Forse perché ho difeso i figli di Maria Strangio che, seppure portano il cognome Nirta, per me non erano e non sono mafiosi. Perché chi tocca i fili muore».
«Invece di criminalizzare e giudicare – dice ancora Rosy Canale –, ognuno dovrebbe riflettere seriamente sulla condizione della giustizia in Italia, e pensare che a questo punto tutti sono soggetti a rischio: ognuno potrebbe facilmente trovarsi al mio posto. Arrestata e assassinata civilmente senza prove. Naturalmente con il mio avvocato ci appelleremo certi della mia buona fede e dichiarata innocenza».
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