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Il calabrese nelle stragi di Capaci e via D'Amelio

REGGIO CALABRIA C’era anche un calabrese nel gruppo di riservati messo insieme da Totò Riina per pianificare la strategia di attacco allo Stato culminata nelle stragi di Capaci e via d’Amelio. Per …

Pubblicato il: 24/01/2016 – 15:56
Il calabrese nelle stragi di Capaci e via D'Amelio

REGGIO CALABRIA C’era anche un calabrese nel gruppo di riservati messo insieme da Totò Riina per pianificare la strategia di attacco allo Stato culminata nelle stragi di Capaci e via d’Amelio. Per i magistrati è «il perno su cui si sviluppò “la logistica” connessa alla preparazione delle stragi continentali», uomo di fiducia di Matteo Messina Denaro a Roma, negli anni Novanta incaricato anche dell’individuazione di un covo nella capitale per il superboss. Si chiama Antonio Scarano e prima di morire d’infarto nel 2004, per anni ha raccontato ai magistrati particolari e dettagli sugli attentati pianificati da Riina e dal suo gruppo di «riservati» – così li definisce il pm Lia Sava di Caltanissetta – a Roma, da via Fauro a Formello, fino al fallito attentato all’Olimpico.

NUOVI TASSELLI DEL MOSAICO STRAGISTA Nato a Dinami, nei pressi di Vibo Valentia, per gli inquirenti Scarano – condannato dalla Corte d’assise di Firenze a 18 anni di reclusione, al termine del processo sulle stragi del ’93 – è stato un «un collaboratore fondamentale». Ma oggi le sue dichiarazioni permettono di cesellare un nuovo tassello da inserire nel mosaico – complesso e ancora incompleto – sulla strategia stragista delle mafie nei primi anni Novanta. Per i magistrati di Caltanissetta, a quel progetto portato avanti da Cosa Nostra – con la benedizione concessa dalle ‘ndrine e la collaborazione logistica di alcuni clan di camorra, come i Nuvoletta – ha partecipato attivamente anche Matteo Messina Denaro. Il superlatitante, che da oltre vent’anni sfugge a inquirenti e investigatori, sarebbe stato incaricato di vagliare le possibilità logistiche di un attacco al cuore dello Stato nella capitale.

STRATEGIA DUPLICE, OBIETTIVO UNICO All’epoca, i riservati di Riina stavano vagliando diverse possibili opzioni: colpire in Sicilia, o mostrare al Paese come la mafia fosse in grado di colpire anche lontano dal proprio territorio di radicamento. Per questo il capo della Cupola « ebbe in sostanza ad affidare a due autonomi gruppi l’incarico di portare a compimento l’attentato in danno del dott. Falcone, sintomo evidente dell’ansia parossistica con la quale egli ne perseguiva l’eliminazione, strettamente correlata alla strategia di guerra allo Stato che egli intendeva avviare. L’esistenza di più gruppi di fuoco operanti in territori diversi costituiva quindi un valore aggiunto per il Riina, una “chance” in più per raggiungere in tempi brevi il conseguimento del risultato pervicacemente perseguito».

PER L’ESPLOSIVO, CHIAMATE TOTÒ C’era solo una differenza fra i due progetti: «Quello da organizzare ed eseguire a Roma lasciava il gruppo di fuoco libero di agire con l’uso delle armi, ipotizzando, come riferito dal Sinacori, che il sistema di sicurezza del dr. Falcone fosse meno rigido che a Palermo e che quest’ultimo, sentendosi al sicuro, fosse meno prudente e accorto nei suoi spostamenti. Nel contempo il progetto romano contemplava una serie di obiettivi secondari, da colpire nel caso in cui non fosse stato possibile eseguire l’attentato in danno del dr. Falcone e/o del ministro Martelli. Il commando diretto da Messina Denaro e Graviano partì dunque per Roma con “licenza” di uccidere e con l’onere di contattare nuovamente il Riina solo nel caso in cui, all’esito dei sopralluoghi, si fosse registrata la necessità di eseguire l’attentato con modalità eclatanti (l’uso dell’esplosivo)».

OBIETTIVI SECONDARI A Roma, Cosa Nostra aveva nel mirino Giovanni Falcone e Claudio Martelli, ritenuto responsabile «della mancata assegnazione del maxi processo alla Sezione presieduta dal dr. Carnevale e dunque dell’esito negativo di quel giudizio», ma anche personaggi “in vista” del mondo del giornalismo e dello spettacolo come Maurizio Costanzo, Andrea Barbato, Michele Santori e Pippo Baudo. Per il boss, erano tutti da condannare perché “rei” di aver «avviato una sistematica campagna mediatica volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle atrocità commesse da Cosa nostra e dalle altre organizzazioni criminali di stampo mafioso, creando per la prima volta nella storia del nostro paese le condizioni per la formazione di un ampio e coeso “fronte antimafia”, in grado a sua volta di fungere da gruppo di pressione nei confronti del potere politico affinché venissero finalmente approvati efficaci provvedimenti legislativi di repressione del fenomeno della criminalità mafiosa».

SCARANO, LOGISTA DI RIFERIMENTO Per questo, Matteo Messina Denaro si è trasferito per un periodo a Roma, per questo è stato arruolato Antonio Scarano. «Lo Scarano, persona di fiducia del Messina Denaro – si legge nell’ordinanza del gip di Caltanissetta – rappresentò il vero punto di riferimento del gruppo di Cosa nostra durante tutto il soggiorno romano e, come già accennato, svolse successivamente un ruolo chiave nella fase di preparazione delle stragi che insanguinarono l’Italia tra il 93 ed il 94». Pregiudicato per droga, Scarano viene agganciato in carcere da Stefano Accardo, elemento di vertice della famiglia di Cosa nostra di Partanna, che dopo averne saggiato l’affidabilità commissionandogli due omicidi, lo introdurrà alla corte di Messina Denaro. Il primo incontro avviene in una gioielleria di Castelvetrano, in Sicilia.

TROVAMI UN COVO In quell’occasione, tra il settembre e l’ottobre del 1991, racconta il pentito ai magistrati «Matteo mi disse che dovevo trovargli un appartamento a Roma nel quartiere “Parioli” e mi diede il numero cli un ‘agenzia presso la quale successivamente mi recai. Poco dopo Matteo disse ai due fratelli gioiellieri di consegnarmi 20 milioni che gli stessi mi diedero in contanti». La zona – spiega Scarano ai magistrati – è la stessa che frequenterà quando si tratterà di organizzare l’attentato a Maurizio Costanzo. «L’agenzia che io contattai non riuscì a trovare l’appartamento richiesto anzi ricordo che mi proposero un ‘abitazione da ristrutturare in via Teulada. Riferii il tutto al Matteo dopo qualche mese e lui mi disse di lasciare perdere . Dopo poco tempo, su nuova richiesta del Matteo, trovai la casa di “Giacomino”. Sono assolutamente certo che la casa su Roma servisse per Matteo».

IL COMMANDO Nonostante la “missione” in agenzia non fosse andata a buon fine, Scarano continua ad essere considerato un «soggetto di fiducia» dai riservati di Cosa nostra. Proprio in questi termini si riferisce a lui lo stesso Riina – ha svelato il pentito Vincenzo Sinacori – durante la riunione di Castelvetrano, invitando tutti a rivolgersi al calabrese per la soluzione dei problemi di natura “organizzativa” collegati alla trasferta romana. Sarà Scarano infatti a procurare un covo a Sinacori e Francesco Geraci quando quello procurato da Mariano Agate si rivelerà inadatto alla permanenza dei due. Insieme a loro, in quel periodo erano arrivati nella capitale anche Messina Denaro, Renzino Tinnirello, Giuseppe Graviano e Fifetto Canella. Pezzi da novanta di Cosa Nostra in missione per conto di Riina. Saranno loro a ricevere in consegna armi ed esplosivo spedite dalla Sicilia, ma toccherà a Scarano a custodirle. Gli sforzi del gruppo di fuoco però, si riveleranno vani. Non riusciranno a individuare né i percorsi di Falcone né quelli del ministro, quindi rivolgeranno l’attenzione verso gli obiettivi di seconda fila.

CAMBIO DI PROGRAMMA Il primo ad essere monitorato e pedinato sarà il giornalista Maurizio Costanza, all’epoca grande mattatore del talk show di seconda serata che portava il suo nome. Tutto era pronto per passare all’azione. Allo scopo, si erano presentati anche i camorristi del clan Nuvoletta. Sarà Riina, informato del cambio di programma, a ordinare il “blocco” delle operazioni – perché «ci sono cose più grosse»- e l’immediato ritorno in Sicilia dei “picciotti”. «Con una punta di perfido orgoglio- scrive il pm –  il Brusca rilevò a tal proposito come il Riina non avesse successiva
mente nascosto in sua presenza la delusione per l’esito dell’attività svolta dal gruppo a suo tempo inviato in missione a Roma: “una lamentela da parte di Riina detto col sorriso sulle labbra che questi giovani che aveva mandato a Roma non producevano niente, se ne andavano più che altro a divertire invece di risolvere il problema». Messina Denaro, Sinacori e gli altri lasciano Roma in ordine sparso e senza avvertire Scarano, che per un anno vigilerà su armi ed esplosivo rimasti in suo possesso.

COSTANZO RIMANE NEL MIRINO Ma – scrivono i giudici – «la forza distruttrice, temporaneamente “congelata” nel territorio romano, si manifestò drammaticamente l’anno successivo con la ripresa della strategia stragista, segnatamente con l’attentato in danno di Maurizio Costanzo, miracolosamente scampato alla deflagrazione dell’autobomba collocata in Via Fauro (confezionata con il tritolo trasportato l’anno prima a Roma dai trapanesi e poi a lungo custodito dallo Scarano), collocata nello stesso punto individuato l’anno prima in sede di sopralluogo dallo stesso Messina Denaro e dagli altri membri del commando dal gruppo di fuoco composto da uomini del mandamento di Brancaccio su mandato conferito dagli stati generali di Cosa nostra».

RITARDO PROVVIDENZIALE A comandarli era Fifetto Canella, non a caso proprio lui era l’uomo che Antonio Scarano, per ordine di Messina Denaro, ha contattato nella primavera del ’93 per fornire l’esplosivo e “mettersi a disposizione”. In questa veste, Scarano parteciperà tutti gli attentati – concretamente portati a termine o solo progettati – di quella stagione, primo fra tutti quello – fallito – ai danni del noto giornalista tv. L’esplosivo – racconta ai magistrati, era all’interno di una Uno bianca, che la prima notte non esplose. La seconda invece fu attivata «con un secondo o un millesimo di secondo di ritardo» – dice il collaboratore ai pm – che probabilmente ha salvato la vita al giornalista che «doveva morire perché aveva offeso la mafia. Aveva bruciato una camicia, una maglietta o una giacca, insomma, una cosa del genere sul palco». Un episodio ricostruito in dettaglio da Scarano, come gli altri attentati progettati in terra romana che aggiunge ulteriori elementi a quel mosaico delle stragi mafiose degli anni Novanta che – a più di due decadi di distanza – rimane tuttora un mistero.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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