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Il clan Franco e il “manuale” sulle affiliazioni

REGGIO CALABRIA Un clan antico che deve trovare nelle giovani leve nuova linfa per perpetuarsi. Vecchi e giovani affiliati che insieme garantiscono continuità al proprio potere reclutando nuovi aff…

Pubblicato il: 25/01/2016 – 21:18
Il clan Franco e il “manuale” sulle affiliazioni

REGGIO CALABRIA Un clan antico che deve trovare nelle giovani leve nuova linfa per perpetuarsi. Vecchi e giovani affiliati che insieme garantiscono continuità al proprio potere reclutando nuovi affiliati. Anche se uno – Paolo Franco, il figlio del boss – scimmiotta Al Capone con un cappello a tesa larga che suscita l’ilarità dei sodali più anziani, tutti hanno un medesimo obiettivo: garantire linfa vitale al clan con l’ingresso di nuovi elementi. Il periodo non è dei migliori e quando il brand ‘ndrangheta fra i giovanissimi non tira, c’è da accontentarsi di quello che passa il convento, due soggetti che proprio ragazzini non sono – entrambi hanno più di quarant’anni – e magari non hanno neanche tutte le caratteristiche del picciotto doc. Ma tant’è. In qualche modo, il clan deve crescere.

I GIOVANOTTI QUARANTENNI «Dobbiamo essere consapevoli gli ho detto io – commenta, intercettato, Vincenzo Cicciù, uno degli affiliati storici – momentaneamente giovanotti, gli ho detto io non ce ne sono, però, gli ho detto io, non è questo il fatto». Il giovane Franco, ascolta e concorda, i due devono entrare. Quello che entrambi non possono tollerare è che un altro degli anziani, Francesco Cuzzucoli, meglio conosciuto come Ciccio il fabbro o lo zoppo, metta i bastoni tra le ruote. «È stata fatta questa grazia», dice Cicciù riferendosi all’imminente affiliazione di due volenterosi in un periodo di magra, cui dovrebbe seguire quella di altri tre. Tutte – sottolinea – sono state concordate con gli altri uomini del clan. Non si può cambiare improvvisamente idea. «Se noi parliamo prima al tavolo in una maniera – aggiunge il figlio del boss – poi là non è, quando sei là davanti ai figlioli che cazzo gli racconti no devi fare così, devi fare così, no devi fare in questa maniera».

IL MANUALE Anche perché, completa il cognato Cicciù, «altrimenti facevamo un trono di mala figura». L’argomento impegnerà per giorni i due cognati, come altri affiliati del clan che partecipano alla cerimonia e si troveranno in auto con i due. Discussioni che per gli investigatori si sono rivelate un vero e proprio manuale dei meccanismi di funzionamento delle ‘ndrine, già emersi a più riprese nel vasto patrimonio investigativo messo insieme dalla Dda. L’unitarietà strategica dei clan – hanno dimostrato le inchieste – non inficia l’autonomia territoriale e le prerogative interne delle singole ‘ndrine, non a caso è proprio il figlio del boss, a rivendicare la strada che i suoi stanno percorrendo e che nessuno può e deve mettere in discussione.

ACCORDI « Abbiamo un percorso di rinnovamento…di…di…sistemazione…ha la bontà, che gli devo dare conto a loro?». Loro sono gli affiliati al medesimo locale – Pellaro – ma ad una ‘ndrina diversa che opera sul medesimo territorio. I rapporti ci sono e sono amichevoli – anche perché non mancano i rapporti parentela – ma la latitanza del boss ha permesso agli anziani di fare la voce grossa. E questo al giovane Franco e al cognato non piace. «Certo un poco gli è andata, la scarpa gli è andata un poco stretta no? – dice, riferendosi al vecchio Cozzucoli –. Io, poi, aparte con lui ho parlato prima dell’estate (…) stavolta facciamo questi tre e per Pasqua facciamo gli altri due».

CHI METTO SULLA STRADA? Peccato che al momento decisivo, il vecchio Cozzucoli avesse iniziato a puntare i piedi. Prima chiede di ritardare l’affiliazione, di aspettare un paio di mesi. Quindi – a cose fatte – di fare un passo indietro. Ma i due cognati non hanno intenzione. E per ragioni molto concrete. «Gli ho detto – dice Paolo ricordando la conversazione con “lo zoppo” – per me il problema non è aspettare un mese, due mesi o tre mesi perché, gli ho detto, io ho aspettato. Io ho aspettato parecchio tempo, no?». Il problema, sottolinea con forza il giovane Franco, è che a furia di aspettare, il clan rischia di vedere assottigliate fin troppo le proprie fila. «Ma scusate io, gli ho detto, altri due anni con chi cazzo mi devo rapportare io?, con nessuno? Se non li impariamo da ora, questi qua come li metto…come li mettiamo nella strada un altro poco di tempo per camminare».

EQUILIBRI Quella dello zoppo è una paura molto concreta. Per timore di vedere rovesciati i rapporti di forza all’interno del locale, non vuole che entrino tante forze fresche. «Lui pensa – spiega Paolo, mentre gli investigatori ascoltano interessati –: questi qua se ne portano quattro cinque dalla loro parte. Per questo io gli ho detto io quando…che se lo tolga dalla testa un discorso del genere che nessuno vuole pensare a metterlo in minoranza e nessuno vuole pensare a fargli un’azione malefica. Ce ne guarderemmo…ce ne guarderemmo che non possano dire». D’altra parte, il boss Franco latitante, sul punto con il figlio è stato chiaro. «Io – racconta il giovane al cognato – quando mi sono visto con mio padre, no, mi sono ragionato questa situazione. Mi ha detto: vedi è buono che lo sai che con me una volta si parla e non si parla più, dice. Vedi che io, dice, quando mi sono sentito con Natale, dice, abbiamo aperto e chiuso l’argomento ed in vita mia non lo riapro più, dice. (…) Dice siamo una famiglia ed una famiglia dobbiamo restare. Detto questo per noi è parola sacra per me, no? Per cui tu non puoi pensare una cosa al contrario».

PAROLA DATA NON SI CAMBIA D’altra parte, gli accordi sono accordi – concordano i due cognati Franco – con le affiliazioni concordate si prosegue. Per altro sulla formazione delle nuove leve si è già investito a sufficienza. «Io li ho presi, me li sono messi vicino in modo che sappiano quello che devono fare, che devono dire. E tu – ricorda indignato Paolo Franco – cazzo, ora vieni e mi dici che non li vuoi fare? Allora sei pazzo». Il cognato Vincenzo concorda: «La cosa è stata detta. La cosa che è stata detta noi dobbiamo cercare di portarla avanti e se non la facciamo dobbiamo dare una spiegazione». Tanto meno – commentano quasi sdegnati i due – si può accompagnare alla porta un nuovo affiliato, solo per le generiche accuse che arrivano da un’altra ‘ndrina.

NIENTE CANIZZA Lo zoppo – spiegano in dettaglio i due nel corso della conversazione – aveva infatti anche accusato Nicola Dascola, uno dei nuovo picciotti, di «parlare assai». Un’accusa grave, ma cui i suoi “mecenati” non credono, tanto meno la reputano sufficiente per metterlo alla porta. «Allora le cose vanno chiarite e dette perbene perché noi a quei figliuoli gli abbiamo detto una cosa ed ora, se non si fanno, si deve portare un’accusa, no cinque mesi e lo butti fuori. Tu a chi butti fuori?», insiste Paolo, che non ha nessuna intenzione di attendere che lo zio esca dal carcere per risolvere la questione. Le cose per lui sono chiarissime. «Non è che lui può mettere la (canizza) museruola agli altri». D’altra parte, a sostenere l’affiliazione di Dascola, non c’era solo il più giovane dei Franco.

BENEDIZIONI A dare visto buono all’ingresso del nuovo picciotto nella ‘ndrina era stato anche “Totò” Giuseppe Franco, il quale – riferisce Paolo al cognato – avrebbe assicurato al contestato Nicola che «se non avessero parlato, dice, Paolo e Giovanni, dice, lo avrei…ti avrei portato avanti io». Un imprimatur arrivato anche da un altro uomo storico del clan, presumibilmente “Peppe”. A riferirlo è sempre il giovane Franco, che al cognato – nonché agli investigatori che ascoltano interessati quelle conversazioni – ricorda: «Peppe ha detto, come? Se siamo rimasti, se una cosa abbiamo preso un impegno si deve fare l’impegno e basta. Abbiamo detto Pasqua e Pasqua deve essere, no un altro anno». Ma soprattutto, il via libera all’ingresso di nuove leve è arrivato dal boss latitante, ben cosciente di quanto si fossero ridotti i ranghi del suo esercito. «Ma a lui – dice con soddisfazione il giovane Franco – sembrava che io non a
vevo parlato, no? Non sapendo che lui (il padre all’epoca latitante, ndr) è al corrente di tutte le cose ed io perché, quando lui è rimasto, quando io gli ho detto vedete che lui gli ha dato…abbiamo la sua benedizione…è lui è ‘ntassato (rimasto di stucco) quando io gli ho detto io: vedete che, onestamente, gli ho detto io, la sua…mio padre gli ha dato la sua benedizione. E cacciagliela tu ora».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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