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L'inferno di un ristoratore soffocato dalle 'ndrine

REGGIO CALABRIA Soffocato e terrorizzato dalle ‘ndrine, ignorato se non tradito dalle forze dell’ordine cui in primo luogo si è rivolto, avvicinato da ambigui rappresentanti di caffè, avvocati e pr…

Pubblicato il: 26/01/2016 – 7:18
L'inferno di un ristoratore soffocato dalle 'ndrine

REGGIO CALABRIA Soffocato e terrorizzato dalle ‘ndrine, ignorato se non tradito dalle forze dell’ordine cui in primo luogo si è rivolto, avvicinato da ambigui rappresentanti di caffè, avvocati e presunti agenti della municipale, per un ristoratore tornato in Calabria dopo una vita trascorsa a Montreal, il tentativo di aprire un’attività sulla costa jonica si è rivelato un inferno. Lo ha raccontato lui stesso ai pm e agli investigatori, quando – consapevole di non aver più nulla da perdere e grazie all’appoggio di un imprenditore che come lui è stato soffocato dal clan prima di decidere di reagire – ha deciso di fare denuncia.

DEVASTANTE COLPO DI FULMINE Tutto è iniziato con i lavori di ristrutturazione di quel palazzotto nei pressi Annà di cui si era innamorato. Gli era bastato un attimo per immaginarci un’attività di ristorazione e bed&breakfast, perfettamente compatibile con la lunga stagione estiva che la jonica regala. Messo insieme il capitale iniziale fatto di risparmi di una vita, più prestiti e regali di amici e parenti, in breve era arrivato ad un accordo di locazione con i proprietari, che includeva i lavori di ristrutturazione dell’immobile. Ma già da allora sono iniziati i guai. I documenti non erano a posto e per il primo anno di attività il ristoratore è riuscito ad aprire al pubblico solo una parte del ristorante. Troppo poco perché l’attività fosse redditizia, così l’uomo sceglie di ampliare la possibilità di coperti, puntando a ricorrenze e ricevimenti. Allo scopo, decide di pavimentare parte del patio. E per lui, sarà l’inizio della fine.

DITTE TOSSICHE Confidando nell’onestà dei proprietari dell’immobile, si affida alle maestranze e alle ditte che loro indicano. Ma proprio dietro l’impresa che all’uomo ha fornito sabbia e calcestruzzo si nascondevano gli Ambrogio, feroci esponenti del clan Iamonte. Il ristoratore è costretto a pagare più del doppio di quanto previsto in preventivo, ma di fronte alle sue proteste non solo Antonino Ambrogio rimane impassibile, ma rincara la dose con un messaggio chiaro « pure che c’è qualcosa in più dobbiamo aiutare le famiglie dei carcerati. Sono mesi che avete già aperto e non siete mai passati a trovarci e mettervi a posto!». E per maggiore chiarezza, dopo aver fracassato una mattonella, grida «volete capire che non dovete rompere i coglioni, compare? Da me vengono sempre le famiglie dei carcerati a chiedere soldi. Non posso sempre pagare io, dovete pagare anche voi. Dovete darci almeno cinquecento euro al mese! Se non passate voi passeranno i miei fratelli». Una promessa che il clan si impegnerà a mantenere.

L’IMPEGNO DEL CLAN Visite improvvise a casa, telefonate insistenti e ripetute, messaggi. Che arrivi da Antonino Ambrogio o dagli uomini che lui manda, la richiesta è sempre la medesima «Cercate di darci qualcosa almeno una volta al mese. Vedete che Nino si incazza se non gli date i soldi. Vedete che se non pagate qualcosa siamo capaci di spaccarvi la testa! Almeno cinquecento euro ce li potete dare». Uno stillicidio che esaspera rapidamente il ristoratore, il quale non esita a minacciare gli uomini del clan di denunciarli ai carabinieri. Un avvertimento che non ha avuto alcun effetto. Al contrario, alle richieste si sono aggiunti i macabri messaggi – ratti morti sull’uscio di casa – che gli Ambrogio provvedono a far recapitare all’uomo.

NON SI SFUGGE AGLI AMBROGIO Terrorizzato l’uomo cede un paio di volte alle richieste del clan, quindi inizia a nascondersi nella sua stessa casa pur di evitare di incontrare i suoi aguzzini, che senza annunciarsi si presentavano regolarmente alla sua porta, fin quando – esasperato – decide di sottrarsi alla morsa del clan. Costringe la famiglia a fare le valigie e a trasferirsi a Reggio. Ma neanche la fuga lo libera dalle spire del clan. Prima, un misterioso agente di polizia municipale si presenta al suo indirizzo reggino, ufficialmente per verificarne la veridicità, al fine di concedere il nulla osta per il trasferimento dei figli nelle scuole di Reggio. Quindi, il ristorante – in quei mesi chiuso – viene spogliato di macchinari e attrezzature per 55mila euro, ma la denuncia dell’accaduto – precisa e circostanziata, ma soprattutto riservata –diventa subito di pubblico dominio.

CONSIGLI INQUIETANTI Il ristoratore prima viene a sapere dal maresciallo Sanzo di Melito che due dei padroni della struttura – che almeno in teoria nulla avrebbero dovuto sapere – si erano presentati in caserma per chiedere che tipo di denuncia l’uomo avesse fatto, quindi «con sospetto tempismo», Bartolo Verduci – rappresentante di caffè diventato cliente del ristorante, si premura di mettere in guardia l’uomo «Ho saputo che gli Ambrogio ce l’hanno con te, o ti metti d’accordo oppure vattene, oggi stesso se puoi. Ma allora vuoi proprio finire al cimitero? Ti ammazzano a te e alla tua famiglia. Se parli con i carabinieri lo verranno a sapere ». Un consiglio quanto meno curioso da parte di un soggetto – poi arrestato per mafia – che almeno in teoria non avrebbe dovuto neanche sapere del furto subito dal ristoratore.

IL LEGALE MESSAGGERO Ma ancor più sconcertato rimarrà l’uomo quando “avvisi” del medesimo tenore arriveranno dalla nota avvocatessa reggina che aveva stilato i contratti di affitto per il ristorante. I due si incontrano per caso al Cedir e il legale, senza che nulla le fosse chiesto, dice all’uomo «mi dia retta, faccia attenzione alle denuncie ed ai nomi che fa ai carabinieri di Melito, perché le faccio presente che tutto quello che dirà si verrà a sapere a Melito e saranno grossi guai per lei e la sua famiglia”. Ancora perplesso, l’uomo metterà a verbale di fronte ai magistrati che l’avvocatessa avrebbe detto «esortandomi con molta prepotenza, quasi gli avessi tolto un qualcosa, “Torni in Canada, ascolti il mio consiglio, se ne torni con tutta la sua famiglia». Tutte “coincidenze” che inducono l’uomo a diffidare delle forze dell’ordine cui si sarebbe dovuto rivolgere per denunciare le angherie subite e a sopportare, mentre la situazione continuava a peggiorare.

PUNTO DI NON RITORNO Passano i mesi, continuano i danneggiamenti, la situazione economica dell’uomo precipita. Impossibile riaprire il ristorante, impossibile trovare un altro lavoro. È costretto a cambiare casa e a spostarsi in quella messa a disposizione da un’amica dei suoi parenti, quindi in quella di un cliente del ristorante cui l’uomo aveva confidato la situazione di profonda difficoltà. Una notte viene anche seguito da due uomini in auto fino al cancello del condominio. «Ho tentato allora di avere udienza in Prefettura che so essere l’ufficio competente per aiutare le vittime di mafia – racconta il ristoratore ai magistrati – Un funzionario, letta la denunzia sporta a Melito per il furto subito, mi disse che non si poteva evincere una chiara matrice mafiosa per cui non poteva avviare proficuamente la pratica ma poteva mettermi in contatto con una persona che aveva avuto il mio stesso problema e che poteva aiutarmi. Veniva pertanto chiamato da un signore che mi state dimostrando di conoscere già, il quale con le sue denunzie aveva fatto arrestare e condannare i suoi estorsori, ricevendo anche un concreto aiuto da parte dello Stato».

INDIFFERENZA ISTITUZIONALE È iniziata così, dall’incontro con un’altra vittima della prepotenza della ‘ndrangheta, la rinascita di un uomo non solo soffocato dalla ‘ndrangheta, ma completamente deluso dalle istituzioni. Anzi, specificherà di fronte al pm, «le circostanze che ho indicato mi avevano fatto diffidare dell’operato delle Istituzioni». Inutilmente l’uomo si era rivolto alle forze dell’ordine, inutilmente aveva rivolto richieste di aiuto economico o di supporto nella ricerca di un lavoro al Comune di Reggio Calabria, alla Regione, alla Prefettu
ra. A mantenere in vita una residuale fiducia nello Stato, saranno – mette a verbale il ristoratore – due carabinieri, che si impegneranno personalmente per aiutare l’uomo.

ECCEZIONI CHE CONFERMANO LA REGOLA «Entrambi mi hanno incoraggiato e mi hanno aiutato a superare questa iniziale diffidenza, sebbene ciascuno ha precisato di poter mettere la mano sul fuoco solo in relazione all’affidabilità dei colleghi di loro diretta conoscenza». Ma a spingere infine l’uomo a denunciare sarà una funzionaria della Prefettura, che spingerà l’uomo a rivolgersi direttamente alla Procura della Repubblica». Lì il ristoratore finirà per denunciare i suoi aguzzini, fornendo un quadro solido, coerente e credibile che ha portato al loro arresto. E forse, in parte, a sanare le ferite che l’indifferenza dello Stato ha provocato.

Alessia Candito
a.candito@corriereca.it

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