TORONTO Tragedia familiare o nuova guerra di mafia? È giallo a Toronto sull’omicidio di Rocco Zito, anziano esponente della Camera di controllo – l’organismo di coordinamento tra famiglie canadesi e la casa madre calabrese – ucciso venerdì pomeriggio con diversi colpi di pistola dal genero Domenico Scopelliti. L’uomo si è presentato spontaneamente ad un posto di polizia poche ore dopo la diramazione degli avvisi di ricerca nei suoi confronti, ma – allo stato – non ha spiegato i motivi del suo gesto. Le indagini sembrano puntare sulla tragedia familiare, ma per adesso c’è prudenza sull’identificazione della matrice del delitto. Nonostante per vicini e conoscenti non fosse che un anziano tranquillo e riservato, Zito è stato un boss che ha scritto di proprio pugno la storia delle ‘ndrine in Canada. Originario di una storica famigli di ‘ndrangheta di Fiumara di muro, nel reggino, è arrivato in Canada nei primi anni Cinquanta, dopo due infruttuosi tentativi di ingresso negli Stati Uniti. Ufficialmente era venditore e posatore di piastrelle di ceramica, ma in realtà ha accumulato potere e denaro grazie a gioco d’azzardo, contrabbando e traffico di droga. Nella seconda metà degli anni Ottanta – ha svelato la lunga fila di uomini che si è messa in coda per baciargli le mani al funerale del boss Michele Racco – diventa il vertice della Camera di controllo, ma le condanne che ha riportato raccontano una storia diversa. Contrabbando, ricettazione, vendita di materiale contraffatto, per anni le accuse contro di lui non vanno oltre i reati di piccolo cabotaggio. Nell’86 viene accusato dell’ omicidio dell’usuraio Rosario Sciarrino, ma un testimone prezioso gli consentirà di raccontare di aver solo reagito in maniera spropositata a un’aggressione e se la caverà con quattro anni. Nel frattempo però, gli investigatori lo beccano con il boss newyorkese Sergio Gambino nel corso di una riunione all’Holiday Inn necessaria per progettare un traffico di eroina fra Stati Uniti e Canada e con gli uomini del clan Bonanno di New York. Le informative lo indentificano come “capo di un gruppo di ‘ndrangheta” e lo indicano come principale sospettato in almeno sei casi di omicidio. Anche il boss Giacomo Luppino, per lungo tempo numero uno delle ‘ndrine ad Hamilton e per questo intercettato dagli investigatori, è costretto ad ammettere – quasi con fastidio – che Zito è diventato nel giro di poco tempo un pezzo da novanta. Per anni, gli investigatori hanno cercato di incastrarlo anche con intercettazioni telefoniche e ambientali ma non ci sono mai riusciti. Estremamente cauto, non si è mai lasciato sfuggire una parola di troppo. «Vedendolo – dice alla stampa Larry Tronstad, sergente dell’Unità speciale anticrimine canadese – non avresti mai detto che si trattasse di un boss. Guidava un’auto normale senza optional, né lussi, né accessori e vestiva in maniera dignitosa ma non vistosa». Gli eccessi non gli piacevano. Per questo non riconosceva le nuove generazioni di boss che in Canada non fanno mistero della propria ricchezza e del proprio potere. Secondo gli investigatori, nel 2008 si era ritirato dalla scena criminale, ma continuava a controllare il gioco d’azzardo, tramite alcuni familiari. Il suo impero – secondo ipotesi investigative – era rimasto intatto. Ora, bisognerà capire chi riuscirà a metterci le mani.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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