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«Giustizia per il mio Matteo, fermate la prescrizione»

REGGIO CALABRIA Stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado: è questa la richiesta che Paola Armellini, la madre di Matteo, l’operaio ucciso dal palco che stava montando per il concerto …

Pubblicato il: 01/02/2016 – 17:46
«Giustizia per il mio Matteo, fermate la prescrizione»

REGGIO CALABRIA Stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado: è questa la richiesta che Paola Armellini, la madre di Matteo, l’operaio ucciso dal palco che stava montando per il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria, ha inviato al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Con l’aiuto della rete, dove sta circolando una petizione che in poche ore ha raggiunto oltre mille firme da tutta Italia, la Armellini chiede al ministro «che vengano messi all’ordine del giorno i disegni di legge sulla prescrizione che prevedono la sospensione della prescrizione con la sentenza di condanna di primo grado», perché – sottolinea – «abbiamo bisogno di giustizia. Voglio almeno questa magra consolazione». Allo stato, lei rischia di non poter ottenere neanche una pronuncia definitiva sugli eventuali responsabili della morte di Matteo. «Quella di mio figlio – scrive – è una triste storia in cui confluiscono una miriade di problemi all’italiana: improvvisazioni, mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e sugli infortuni sul lavoro per i lavoratori di serie B come Matteo ai quali si aggiungono tutti i noti problemi di un’organizzazione giudiziaria che certamente non agevola la richiesta di giustizia delle vittime del reato». A processo per la morte del ragazzo ci sono sette imputati – Maurizio Senese (responsabile della Esse Emme Musica, promoter locale che aveva organizzato il concerto), Sandro Scalise (coordinatore della sicurezza per i lavori di costruzione della struttura), Franco Faggiotto (progettista), Pasquale Aumenta (responsabile della Italstage, società costruttrice del palco), Ferdinando Salzano (rappresentante della F&P Group, committente dei lavori di allestimento del palco alla Italstage), la stessa F&P Group, Marcello Cammera (all’epoca dirigente comunale dei Lavori pubblici) e Gianfranco Perri, (estensore del piano di sicurezza) – ma oggi il procedimento rischia di naufragare. Il giudice incaricato, da giugno prenderà servizio a Palmi e toccherà ad altri gestire l’istruttoria fino alla fine. Pe adesso l’istruttoria procede – dopo quella del 21 gennaio, è stata fissata una nuova udienza per il 3 marzo – ma il rischio è che, una volta insediato il nuovo giudice, tutti i testimoni che hanno già deposto debbano tornare in aula per ripetere quanto in precedenza messo agli atti, con conseguente dilatazione dei tempi necessari per arrivare quanto meno a una sentenza di primo grado. Impossibile anche immaginare di raddoppiare il numero di udienze mensili, come sollecitato dall’avvocato Alicia Mejia Fritsch che assiste Paola Armellini. A ruolo – dice il giudice – ci sono oltre mille procedimenti e il calendario è saturo. Nel frattempo l’orologio della prescrizione continua a correre. «Ci sono grosse possibilità che giustizia per Matteo non venga mai fatta – si legge nel testo della petizione – perché il passare del tempo fa calare un velo di indifferenza sulla giovane vita di un lavoratore morto e fa perdere le tracce di quanto successo». Ma Paola Armellini vuole continuare a sperare per questo ha anche rispedito al mittente la proposta di risarcimento che le è stata sottoposta in cambio di un accordo. «Per me – sottolinea la madre di Matteo – giustizia è individuare il responsabile di quanto successo, non un assegno da 350mila euro sventolato in aula». Una battaglia che Paola Armellini porta avanti da quando una telefonata l’ha svegliata all’alba per dirle che Matteo non sarebbe tornato a casa, non sarebbe tornato mai più. Un palco venuto giù come un castello di carte, ma pesante come un edificio se l’è portato via durante una nottata di lavoro. «Matteo non tornerà in vita e forse nel suo caso non verrà individuato neanche un colpevole – scrive mesta Paola Armellini –. L’unica ragione rimasta per andare avanti è per me fare in modo che la morte di mio figlio possa avere in qualche modo un senso. Un senso di giustizia per tutti».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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