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Lamezia ha ancora paura

LAMEZIA TERME Si riunirà giovedì sera l’Associazione antiracket lametina (Ala) per decidere quali iniziative mettere in campo dopo l’ondata di intimidazioni ai danni di commercianti e imprendi…

Pubblicato il: 04/02/2016 – 9:54
Lamezia ha ancora paura

LAMEZIA TERME Si riunirà giovedì sera l’Associazione antiracket lametina (Ala) per decidere quali iniziative mettere in campo dopo l’ondata di intimidazioni ai danni di commercianti e imprenditori che da poche settimane sta di nuovo scuotendo Lamezia Terme. Il frantoio di Armando Caputo, presidente dell’Ala, si trova su via del Progesso, zona a sviluppo industriale e commerciale da sempre indicata come “territorio” della cosca Giampà. «La prima intimidazione l’abbiamo subìta nel 1991, quando ci siamo ingranditi e abbiamo creato un capannone più ampio». Parla per esperienza personale, Caputo. Secondo il presidente dell’Ala non ci sono alternative: gli imprenditori devono reagire. «È l’unico modo per liberarsi dalla ‘ndrangheta. Non ci vorrà un giorno ma bisogna pur incominciare». E questo inizio, nonostante i processi e le condanne, evidentemente non è ancora arrivato.
La sentenza del processo “Perseo” – emessa lo scorso 16 dicembre in sede di rito ordinario – che ha visto la condanna di 21 presunti affiliati alla cosca Giampà, non ha scosso il tessuto sociale lametino come si era sperato. Armando Caputo non mostra meraviglia: le proporzioni tra le parti offese individuate dagli inquirenti e coloro che si costituiscono parte civile nei processi parlano da sole. In “Perseo” su 40 parti offese le parti civili costituite sono state appena una manciata e lo stesso tenore hanno i numeri di processi come “Medusa” e “Chimera”. Il presidente dell’Ala non nasconde la difficoltà dell’associazione nel convincere gli imprenditori a costituirsi parte civile nei processi di ‘ndrangheta. Un vero peccato perché «se al processo Perseo si fossero costituite tutte le parti offese sarebbe stato un grande messaggio per la città e contro le cosche e tutte queste intimidazioni oggi, forse, non le avremmo avute. Ci sarebbero state – dice Caputo – magari un paio di reazioni più violente, segno di debolezza da parte della criminalità, ma non la reazione che stiamo vivendo oggi a così poca distanza dalle condanne di dicembre». 
L’esempio che l’Ala di Lamezia insegue è quello di una reazione corposa e unita, come è avvenuto a Ercolano o Palermo. Inutili le note stampa che inneggiano al lavoro se il lavoro non attecchisce, se le imprese vengono arpionate dalla forza predatoria e arrogante delle cosche che si sono divise il territorio. Il Tribunale di Lamezia Terme in assetto collegiale, con la sentenza Perseo, ha condannato gli affiliati al clan a risarcire con 100mila euro il Comune di Lamezia Terme e l’associazione antiracket lametina, rappresentata dall’avvocato Francesco Pizzuto, con 20mila euro. Ora si attende l’esito del processo “Chimera” contro la cosca Torcasio. Anche qui l’Ala sarà presente, assistita dall’avvocato Carlo Carere.



TUTTI IN GALERA MA LA PAURA CONTINUA Nel processo d’appello “Medusa” i 35 imputati, considerati legati al clan Giampà, sono stati tutti condannati. Con “Perseo” sono stati comminati 178 anni di carcere a 21 presunti affiliati alla stessa cosca. È andata diversamente con l’abbreviato che ha visto 17 condanne, tra cui tre ergastoli, e 25 assoluzioni. La guerra di mafia tra i Giampà e i Torcasio-Cerra-Gualteri ha decimato i boss del clan Torcasio mentre gli altri sono quasi tutti in cella. Con l’operazione “Andromeda” la Dda di Catanzaro ha dato un duro colpo anche al clan Iannazzo di Sambiase. Ma nel tessuto sociale ed economico di Lamezia quella patina di grigia di paura e sottomissione non è stata cancellata. Per quattro imprenditori lametini le testimonianze rese nel corso del processo “Perseo” sono state trasmesse dal Tribunale alla Procura perché è contemplato il reato di falsa testimonianza. Reticenti, nonostante le intercettazioni e i verbali resi in precedenza, i testi hanno svicolato su ogni possibile vessazione subìta dalla cosca. E a un mese dalla sentenza – con un repentino ricambio nella manovalanza della criminalità – le intimidazioni hanno ripreso ritmo. Dal 24 gennaio a oggi sono stati otto i messaggi agli imprenditori per “mettersi a posto”.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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