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Processo Lo Giudice, chiesta la conferma delle condanne

REGGIO CALABRIA Conferma di tutte le condanne: è questa la richiesta avanzata dal pg Riva per gli imputati del processo Lo Giudice, che vede alla sbarra capi e gregari dell’omonima famiglia di ‘ndr…

Pubblicato il: 04/02/2016 – 7:04
Processo Lo Giudice, chiesta la conferma delle condanne

REGGIO CALABRIA Conferma di tutte le condanne: è questa la richiesta avanzata dal pg Riva per gli imputati del processo Lo Giudice, che vede alla sbarra capi e gregari dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta. Fra loro, c’è anche quello che viene considerato lo stratega del clan, Luciano Lo Giudice, condannato in primo grado a 20 anni di reclusione.

CONFERMA DELLA CONDANNA PER IL MANAGER DEI LO GIUDICE Stando a quanto emerso dal dibattimento di primo grado, Luciano, rimasto “pulito” fino all’arresto del 2009, sarebbe stato scelto come volto spendibile nel mondo imprenditoriale reggino, destinato a mettere a frutto i patrimoni derivanti dalle storiche attività di famiglia: l’usura – praticata anche nei confronti di quei soggetti irretiti con il vizio del gioco, grazie alle macchinette sconosciute al Monopolio che Luciano teneva nel suo bar – e l’intestazione fittizia di beni. Ma per il collegio di primo grado, Luciano non sarebbe stato solo il manager del patrimonio della famiglia Lo Giudice ma anche il soggetto utilizzato dal clan per avvicinarsi alle istituzioni, proponendosi come fonte confidenziale per “far cadere” Pasquale Condello. Confidenze che però – secondo quanto affermato da sentenze passate in giudicato relative alla cattura del superboss – mai avrebbero pesato o influito sulle indagini per la cattura di Condello.

LE ALTRE RICHIESTE Insieme a Luciano Lo Giudice, in primo grado sono stati condannati a pene severe – di cui il pg ha chiesto la conferma – Saverio Spadaro Tracuzzi,(14 anni e 6 mesi), Antonio Cortese (18 anni), Bruno Stilo (16 anni) Giuseppe Reliquato (16 anni), Salvatore Pennestrì (13 anni), Fortunato Pennestrì (10 anni), Giuseppe Cricrì (4 anni e 6 mesi), Giuseppe Lo Giudice (7 anni e 6 mesi) e Antonino Spanò (6 anni).

IL PENTITO LO GIUDICE Una sentenza su cui molto hanno pesato le dichiarazioni del controverso collaboratore Nino Lo Giudice, pentito prima del dibattimento, quindi pentito di essersi pentito come esplicitato in due scottanti memoriali con cui – dopo la fuga dal programma di protezione – ha ritrattato quanto in precedenza dichiarato, ed infine, dopo essere stato riacciuffato e interrogato, silente detenuto. Un percorso accidentato che ha visto Lo Giudice, in un primo tempo, convertirsi nel principale accusatore degli uomini della sua famiglia, quindi puntare il dito contro gli stessi magistrati che lo avevano gestito, ed infine – dopo l’arresto che ne ha interrotto la latitanza – trasformarsi in monosillabico detenuto, ancora incerto sullo sbocco da dare al suo rapporto con i magistrati. In ogni caso per il tribunale Lo Giudice rimane un pentito attendibile, perché il collegio pur riconoscendo «la valenza di ritrattazione del contenuto dei due memoriali», quanto affermato non è «in grado di incrinare l’attendibilità delle dichiarazioni rese da Lo Giudice Antonino». Per i giudici infatti «non può ignorarsi che il collaboratore, come sopra già esposto, non ha inteso spiegare personalmente né a questo Tribunale, nè alle Parti presenti in aula all’udienza del 17 dicembre 2013, i motivi e le circostanze dell’improvvisa sparizione, trincerandosi dietro l’essersi avvalso della facoltà di non rispondere, e ciò contrariamente al contegno che lo aveva invece animato durante le plurime udienze».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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