ROSSANO Qualcuno penserà che adesso sia tutto finito. Al contrario. Dopo l’approvazione della delibera sull’atto di impulso alla fusione fra i comuni di Rossano e Corigliano, tutto sta per ricominciare in quell’Area Urbana che oggi inizia una prima fase di trasformazione. E in una Sibaritide che è sempre stata una mezza Eldorado – grandi ricchezze ma la gestione è da strapazzo – viene da chiedersi se la nascita di una città unica con tutti i crismi possa davvero essere la clausola risolutiva di un nuovo patto per non morire.
Perché da queste parti, in cui tanti erano pronti a scommettere denaro sonante prima di vergognarsene a metà strada, 80mila abitanti possono davvero fare la differenza fra una vecchia Piana e quella “post riforma”.
Una fase, dicevamo, comunque difficilissima, e presumibilmente dolorosa, per due popolazioni che quando si stringono la mano, spesso lo fanno senza guardarsi. Lo si chiami eterno campanilismo, complesso di Calimero o rivalità identitaria di piazza ma tant’è. C’è il vecchio scoglio culturale da passare indenni.
Perché al di là di un iter procedurale che promette lungaggini prima del solito passaggio al referendum consultivo tra gli abitanti, arriverà il momento di riempire la fusione di contenuti.
La delibera ora è pronta per essere spedita al presidente della giunta regionale Oliverio – e solo lui dopo averla esaminata potrà stilare un decreto per l’indizione di un referendum popolare a spese della Regione.
Puntare a tenere alta la partecipazione e raggiungere la soglia non dovrebbe essere poi così difficile: il quorum, così come stabilito dallo statuto regionale, sarà fissato al 30% e non al 50% più uno dei votanti. E se la consultazione dovesse essere positiva, i consigli comunali saranno nuovamente chiamati a recepire l’espressione favorevole e a prenderne atto. Che poi è una formalità. Prima che scatti la fase progettuale, con associazioni di categoria, professionisti e uffici interessati chiamati ad esprimere il proprio parere, ognuno nelle proprie competenze. Insieme agli amministratori, tutti gli attori sociali produrranno una sintesi, stilando un progetto della città che sarà.
Sullo sfondo, poi, i tanti e non troppo ipotetici vantaggi. Economici, in primis, con il 20% di finanziamenti in più, per dieci anni, previsti dalla legge ordinaria; l’opportunità di assumere a tempo indeterminato tutto il personale necessario, grazie alla deroga sul turn over; di spendere tutto ciò che si ha in cassa; la precedenza assoluta nell’accesso ai finanziamenti regionali e nazionali. C’è di più: la possibilità di godere dell’esclusione dal Patto di stabilità interno. Quindi, benefici raddoppiati.
Ma a scaldare il fronte è poi l’aspetto politico, prima che tecnico. Perché con il nuovo modello di governance ascrivibile nel perimetro di riforma istituzionale definito dalla legge Delrio, nell’ottica dell’abolizione delle Province e della nascita delle Aree Vaste, la nuova città fusa avrebbe i requisiti per diventare essa stessa un’Area Vasta. E contare, nei confronti istituzionali, alla pari delle città capoluogo.
Per un territorio divenuto campo di battaglia, immiserito da manipolazioni, attacchi predoni e pericolose scorribande, maltrattato alla stregua di un soldo di cacio, potrebbe essere questa l’occasione giusta per cambiare volto.
Tutto sembra incredibile, soprattutto a chi – e non sono in pochi – crede che la delibera sulla fusione manchi di concretezza, abbia messo al muro il dibattito e sia, sostanzialmente, frutto di una strumentalizzazione.
E allora – viene da chiedersi – l’abitudine di fasciarsi la testa molto prima di cadere, in quest’area, è o non è un’abitudine dura a morire?
Martina Forciniti
redazione@corrierecal.it
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