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Definitive le condanne per gli aguzzini di Annamaria Scarfò

REGGIO CALABRIA Sono definitive le condanne per i componenti del branco che oltre quattordici anni fa ha stuprato e sottoposto a minacce e pressioni Annamaria Scarfò, all’epoca tredicenne impaurita…

Pubblicato il: 05/02/2016 – 8:14
Definitive le condanne per gli aguzzini di Annamaria Scarfò

REGGIO CALABRIA Sono definitive le condanne per i componenti del branco che oltre quattordici anni fa ha stuprato e sottoposto a minacce e pressioni Annamaria Scarfò, all’epoca tredicenne impaurita di San Martino di Taurianova, oggi giovane donna costretta a vivere sotto protezione per le minacce ricevute da amici e familiari dei suoi aguzzini. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dei legali degli imputati, confermando le condanne emesse dalla Corte d’appello reggina che aveva condannato a 7 anni Antonio Cutrupi, Maurizio Hanaman, Giuseppe Chirico e Antonio Cianci, e a sette anni e otto mesi Fabio Piccolo. Per loro, oggi partiranno i mandati di cattura in esecuzione della sentenza, ma solo a due verranno notificati in carcere, dove sono già detenuti per associazione mafiosa. Gli altri, nonostante i pesantissimi reati di cui sono stati riconosciuti colpevoli, hanno affrontato i processi da uomini liberi. Fino ad ora.
Per la Suprema Corte sono loro i responsabili degli anni di inferno e angherie che la giovanissima Annamaria ha dovuto per anni sopportare, prima di decidere di rompere il silenzio e denunciare. Irretita da un ragazzo che pensava di amare, trasformata per anni in poco più di un pezzo di carne con cui sfogarsi, dilettarsi o offrire agli amici pagare i debiti, quando Annamaria si accorge delle attenzioni che il branco riserva alla sorella più piccola decide di rompere il silenzio e puntare il dito contro i suoi aguzzini. Per farlo, ha dovuto vincere le resistenze della famiglia che in un primo tempo l’ha rifiutata, l’omertà dei religiosi con cui di è confidata, l’ostracismo del paese che l’ha messa al bando. Per questo a viso aperto e con una costante presenza in aula ha scelto di affrontare la battaglia processuale contro quei ragazzi, nel frattempo diventati uomini, che le hanno rubato l’adolescenza. Uomini in larga parte espressione di famiglie mafiose della Piana di Gioia, che impunemente hanno violentato una ragazzina, ma per il paese rimangono “bravi ragazzi”, accusati da una “rovina famiglie”, una piccola prostituta, una “malanova”. È questo il titolo che Annamaria ha voluto dare al libro che racconta la sua storia, scritto – ha sempre spiegato – per dare ad altre donne il coraggio di denunciare gli abusi subiti, ma anche per sopportare la lentezza di una giustizia che forse chiede troppo alle vittime di violenza, costrette a rivivere più e più volte in aula gli abusi subiti, mentre la propria intera vita viene vivisezionata in aula. E per troppo tempo. Annamaria ha dovuto attendere oltre quattordici anni perché il procedimento nato dalla sua denuncia arrivasse ad una condanna definitiva, mentre in paese si organizzavano addirittura comitati contro di lei e la sua famiglia diveniva oggetto di pressioni e minacce. A sposare la sua causa sono state invece, fin dal principio, le femministe oggi riunite nella “Collettiva Autonomia”, che hanno sostenuto la ragazza dentro e fuori dalle aule di giustizia, chiedendo giustizia per lei come per tutte le donne vittime di abusi. «Quella di Annamaria è una battaglia di tutte le donne contro un sistema che le vuole sottomesse» hanno sempre spiegato le attiviste, che ieri con un presidio di fronte alla Corte d’appello di Reggio Calabria hanno voluto dimostrare la propria vicinanza alla ragazza e oggi non possono che gioire con lei. «Siamo soddisfatte e felici che il coraggio di Annamaria sia stato premiato – dicono – ma continuiamo a combattere perché i processi per violenza sessuale abbiano una corsia preferenziale. È indegno che siano necessari quattordici anni per arrivare ad una pronuncia definitiva».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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