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Lamezia Terme, l'impero costruito grazie al patto con i Giampà

LAMEZIA TERME Sette milioni di euro, questo è il valore del patrimonio confiscato all’imprenditore lametino Francesco Cianflone – considerato contiguo alla cosca Giampà di Lamezia Terme –, dag…

Pubblicato il: 05/02/2016 – 7:01
Lamezia Terme, l'impero costruito grazie al patto con i Giampà

LAMEZIA TERME Sette milioni di euro, questo è il valore del patrimonio confiscato all’imprenditore lametino Francesco Cianflone – considerato contiguo alla cosca Giampà di Lamezia Terme –, dagli uomini della Direzione investigativa antimafia di Catanzaro. I beni confiscati comprendono le quote e il compendio aziendale della ditta “Costruzioni Srl”, operante nel settore edilizio, con sede nel comune di Amato, 140mila metri quadri di terreni prevalentemente agricoli, un appartamento, 37 beni immobili fra i quali numerosi mezzi da cantiere e 23 rapporti finanziari. È il patrimonio che sarebbe stato illecitamente costruito da Cianflone tra il 2007 e il 2011, nel suo periodo intraneo alla cosca Giampà. Il lavoro della Dia parte dall’operazione “Piana”, coordinata dalla Dda del capoluogo, che nella primavera del 2013 portò all’arresto di quattro imprenditori lametini legati alla cosca egemone di lamezia. Tra questi Francesco Cianflone, 60 anni, attualmente imputato per associazione a delinquere di stampo mafioso. «La Dia di Catanzaro – ha detto il procuratore aggiunto della Dda, Giovanni Bombardieri – prendendo le mosse dall’operazione Piana ha ricostruito le possidenze patrimoniali su cui poteva contare Francesco Cianflone». «Necessarie alla lotta ’ndrangheta –ha sottolineato Bombardieri – sono le azioni di prevenzione patrimoniale che devono associarsi all’attività repressiva penale. È importante colpire i patrimoni che vengono costruiti illecitamente e che, grazie al supporto della criminalità organizzata, tendono ad inquinare il mercato e la libera concorrenza». 

ASCESA E CADUTA DI CIANFLONE Nel caso specifico, secondo quanto emerso dalle indagini e in particolar modo grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – tra i quali l’ex reggente della cosca Giuseppe Giampà –, il potere imprenditoriale di Cianflone sarebbe nato tra il 2007 e il 2008 quando, rivolgendosi a Vincenzo Bonaddio, poiché vittima di pressioni intimidatorie da parte della cosca rivale dei Torcasio, decide di collocarsi sotto l’ala protettiva dei Giampà, in particolare di Bonaddio. Da quel momento, non solo riceve protezione ma prende il posto di quella che era la ditta di riferimento del clan, ossia l’azienda di Roberto Piacente, anch’egli implicato nell’operazione “Piana” e condannato di recente in secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. La cosca Giampà, dunque, sposta la sua attenzione, come impresa di riferimento, sull’attività di Cianflone che comincia a ottenere lavori e commesse tanto che Piacente quasi deve chiudere poiché il suo portafoglio clienti inizia a diminuire drasticamente. I lavori di privati e di aziende arrivano abbondanti alla ditta “Costruzioni Srl” che si occupa in particolare di rifornire calcestruzzo, grazie alla tutela della cosca e questo, sottolinea il procuratore aggiunto, pagando quello che Cianflone doveva pagare al clan e, come riferiscono gli stessi collaboratori, facendo quello che facevano tutti gli imprendtori di riferimento della cosca, ossia fare da tramite con le ditte o ritirare il pizzo per conto della cosca Giampà.
Il periodo d’oro di Cianflone, però, termina intorno alla fine del 2011, a causa di dissidi interni alla cosca, in particolare per il ridimensionarsi del ruolo di Bonaddio, principale sponsor dell’imprenditore, che viene scalzato nella gestione degli affari da Giuseppe Giampà. I dissidi nel clan sarebbero nati perché i conti non tornavano nella riscossione dei proventi del racket ma questo dimostra – hanno detto gli inquirenti in conferenza stampa – soprattutto la labilità della fortuna acquisita ponendosi sotto l’ala protettiva del gruppo criminale. Giuseppe Giampà intende riproporre Piacente quale imprenditore di riferimento del clan. «All’interno della cosca gli equilibri si spostano sull’uno o sull’altro imprenditore in ragione delle dinamiche interne all’organizzazione criminale», spiega il procuratore Bombardieri. 

COLPIRE I CLAN SUL PATRIMONIO «Bisogna colpire i clan sul patrimonio perché è l’unico vero punto debole delle cosche. Arrestare la gente significa comunque consentire ad altri di prendere il loro posto. Sottrarre loro i patrimoni che vengono illecitamente accumulati significa, invece, rendere vana e inutile tutta l’attività che hanno posto in essere e significa riaffermare quella possibilità di libero mercato e libera iniziativa economica che consenta agli imprenditori onesti di lavorare», ha concluso il procuratore aggiunto della Dda. 
Secondo il capocentro della Dia di Catanzaro, Antonio Turi, «con l’operazione Piana si pose l’accento su una certa imprenditoria». Due i sequestri scaturiti da quella indagine: uno nell’agosto 2014 e infine quello odierno. Il decreto di confisca contro Cianflone è scaturito dalle dichiarazioni dei collaboratori che individuavano i comportamenti di certa imprenditoria «che veniva coinvolta dalle dinamiche interne alla cosca», ha sottolineato Turi. «Questi imprenditori di riferimento – prosegue il dirigente della Dia – non avevano soltanto un ruolo passivo, beneficiari della cosca nel monopolio delle forniture di calcestruzzo e altri materiali, ma avevano un ruolo attivo nel favorire la cosca, nel favorire l’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale sano, stravolgendo le regole del libero mercato».
Il ruolo della ditta Cianflone era tale che le altre ditte, pur di non avere fastidi, pur di “mettersi a posto” erano esse stesse a cercare gli imprenditori di riferimento come Cianflone, per far sì che trattassero, che facessero da tramite, con la cosca Giampà per sistemare le questioni relative alle estorsioni o i problemi su chi doveva lavorare sul territorio di Lamezia. 

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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