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Pellegrini, Falcone e il “caso Calabria”

Gli anni bui della Palermo degli anni 80 vengono raccontati dal generale Angiolo Pellegrini nella sua fatica real-letteraria “Noi, gli uomini di Falcone” (Sperling & Kupfer editore). Un raccont…

Pubblicato il: 06/02/2016 – 18:29

Gli anni bui della Palermo degli anni 80 vengono raccontati dal generale Angiolo Pellegrini nella sua fatica real-letteraria “Noi, gli uomini di Falcone” (Sperling & Kupfer editore). Un racconto fatto di realtà che si legge rapidamente anche perché si tratta di fatti che abbiamo scolpiti sulla pelle e che ricordiamo quasi tutti. Nessuno può toccarci Falcone, oggi più di ieri, quando non è mancato chi non abbia voluto riconoscere le capacità dell’alto magistrato. Ed il generale Pellegrini non le manda a dire, come faceva ai tempi in cui era in servizio, anche con Falcone. «Grandi vittorie, grandi battaglie, ma alla fine la guerra l’abbiamo persa». Questa l’amara e triste considerazione dell’alto ufficiale dei carabinieri, girovagando per la Calabra a rinverdire quegli anni, a suscitare l’attenzione degli studenti, a invitare giovani e meno giovani a non dimenticare quegli anni in cui la mafia mostrava i suoi tentacoli più pericolosi. Girando nel Reggino, l’autore del libro che, in quegli anni, era a capo della sezione Anticrimine dell’Arma dei carabinieri ed è stato il braccio destro di Falcone. Insomma era il confessore del giudice nella buona e nella cattiva sorte. Rideva o piangeva con lui, brindava o si intristiva con lui. Erano insieme nel vano tentativo di raggiungere l’obiettivo che il magistrato si era da sempre prefisso. Cioè da quando aveva deciso di appendere la toga di avvocato al chiodo e di passare dall’altra parte. Avere a che fare con i mafiosi ma non per difenderli ma giudicarli, con la preparazione che aveva acquisito, percorrendo la carriera prevista dall’ordinamento giudiziario.
«La condanna dei capi di Cosa nostra, al maxi processo di Palermo, seguito da tutti i giornali del mondo e per la Rai da Nino Rizzo Nervo e Totò Cusimano è stata una gran vittoria, ma poi non si riuscì ad andare avanti», afferma Angiolo Pellegrini. A suo parere ci sono state menti sottili che ostacolarono gli ingranaggi di cui è composto un processo. Ed il libro di Pellegrini è dedicato in particolare ai giovani perché non è giusto non sapere il più possibile della storia della nostra Repubblica, passata e recente, e per ricordare chi ha sacrificato la propria vita per l’ ideale della giustizia.
Pellegrini è stato sempre accompagnato da magistrati, assessori alla cultura, giovani. A Reggio, per esempio, a parlare del libro, oltre all’autore, è stato uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla ‘ndrangheta, con Cafiero de Raho e Nicola Gratteri, Giuseppe Lombardo, figlio d’arte. «Il dato grave è che a trent’anni di distanza siamo davanti ad un sistema che ancora si inceppa. Anche Reggio – ha detto Lombardo – c’è stata una vera e propria stagione di morti ammazzati». Pellegrini, a parere di Lombardo, diventa l’uomo di fiducia di Falcone perché va molto oltre le verità precostituite. Il contrasto alla mafia passa attraverso quel metodo che vede tutti i pezzi, anche quelli che all’apparenza sembrano più insignificanti, messi insieme. Senza accontentarsi di un singolo responsabile. E Lombardo di getto, come è aduso fare quando è in un’aula di giustizia, si è detto dell’opinione che alla disorganizzazione nella giustizia, purtroppo ancora non avviata a soluzione (quante volte abbiamo parlato di menti di esperienza e non anche di auto, benzina, fotocopiatrici, toner), corrisponde una strategia, una logica evoluta dell’ndrangheta.
Parole dure che sollecitano tutti i magistrati, il Csm, il ministro di Giustizia a inserire il “caso Calabria” fatto di uomini e mezzi, uomini di capacità dimostrata altrove, ed anche nella stessa Calabria, ad intervenire affinchè questa nostra martoriata Regione esca dalle secche dell’immobilismo e assurga ad un ruolo di protagonista, anche in materia di giustizia. Non ci poteva essere chiusura degli interventi più amara. Morto ammazzato il giudice Scopelliti, Falcone si sentì scosso da quell’efferato delitto tanto da dire ad Angiolo Pellegrini: «Il prossimo sarò io». Sapeva quel che diceva, sapeva dei collegamenti Sicilia-Calabria, sapeva la verità in anticipo.
Oggi non ci sono così tanti morti, ma ci sono fenomeni di corruzione elevati all’ennesima potenza, senza che si riesca a porre un freno allo strapotere delle bande criminali. E senza senso della giustizia, con altro da aggiungere sul piano economico e sociale, un passo avanti si potrà pur fare, se non ci fossero dieci passi indietro.

*Giornalista

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