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Addio a "Pepè le Rouge", principe del morzello

Morzello sì, ma non solo. Addio a Giuseppe Mangone, in arte “Pepè le rouge” per via del colore dei capelli. Lui la storica “putica” l’aveva ceduta da anni, ma forse l’aver saputo che anche la “puti…

Pubblicato il: 07/02/2016 – 8:43
Addio a "Pepè le Rouge", principe del morzello

Morzello sì, ma non solo. Addio a Giuseppe Mangone, in arte “Pepè le rouge” per via del colore dei capelli. Lui la storica “putica” l’aveva ceduta da anni, ma forse l’aver saputo che anche la “putica” è stata chiusa da qualche mese, visto che ormai la gente evita il centro della città e si fionda, col sole e con la pioggia, nel caotico sud, dove pulsano la “movida” marinara ed enormi centri commerciali in cui c’è ogni genere di sollazzo compresi cinema e sacramenti (persino la chiesa in uno di questi giganti dell’intrattenimento mercificato) l’ha spinto a riparare nel mondo dei più. 

I RICCHI LO SDEGNAVANO IL POPOLO LO MANGIAVA “GARGIA GARGIA” Addio a Pepè, dunque. Al principe della pietanza più conosciuta di Catanzaro, servita nel cuore del centro storico (tra Piazza Roma e il Municipio) senza affettazioni perbeniste ma col sorriso sulle labbra e cortesia popolare: il morzello (“u morzeddhu”). Frattaglie di vitella un tempo (lontano) scartate dalla macellazione. I ricchi lo sdegnavano e il popolo lo mangiava “gargi gargi” nella classica “pitta”. Se pensi a Catanzaro e pensi al cibo, considerato Cultura persino dai palati accademici più esigenti, pensi al morzello. Non si scappa. E se pensi al morzello, il nome che gli s’associa con immediatezza (per quanto Stefano a “Sala” e i fratelli Salvatore e Santo Talarico non siano da meno) è “Pepè”: monsignore discreto nel tempio in cui invece dell’ostia somministrava il piatto più identitario del capoluogo. 

CATANZARO E L’INCREDIBILE INSUCCESSO DEL MORZELLO Di cui, però, la città non ha mai saputo vantarsi. Né farne uno “street food” di successo, com’è accaduto altrove per i “cibi” di popolo appena l’enogastronomia è schizzata alle stelle. Né organizzare un appuntamento nazionale (con dibattiti, musica, cinema) intorno a un piatto-simbolo della cultura del territorio. Il morzello e il suo incredibile insuccesso forse sono l’atto d’accusa più succulento che si può muovere a classi dirigenti che non hanno saputo esprimere una visione generale della città, e che, vittime dei loro  complessi d’inferiorità, non avendo abilità vere e competenze assodate, hanno finito quasi col vergognarsi di quel piatto proletario. Quante discussioni intorno al morzello in quella trattoria di Pepè. Generazioni di catanzaresi, alcune già da molti anni in attesa che Pepè si decidesse a raggiungerle lassù (o laggiù?), si sono unte le guance accompagnandosi a pensieri lievi o aggrovigliati su come cambiare il mondo che invece va per conto suo e ad un bicchiere di rosso locale. 

CATANZARO PRIMA DEI “VAMPIRI DEL CONSUMISMO” SOLO DA CARLO PAONE Si potrebbe scrivere un’antropologia cittadina e una storia delle temperie di questa parte del Paese con quegli scarti di carne prima invisi e poi, col mutare delle stagioni e l’evaporare delle nobiltà spavalde, condivisi dalla piccola e media borghesia e dall’alta corte nobiliare in affanno presto soppiantata da pragmatici imprenditori i cui “animal spirits” si sono sbizzarriti nell’edificare quei “non luoghi” dei villaggi dello shopping che trasformano il cittadino in consumatore e fanno spettrale il centro storico.  Se ne va Pepè e se n’è andata anche la sua storica “putica”.  La “Vecchia hostaria di Pepè”, così l’aveva saggiamente battezzata il giovane cuoco catanzarese Massimiliano Cartaginese rilevandola nel 2010, ha chiuso battenti da circa un anno. In quella strada del centro da un pezzo non c’è più Pepè e neppure Massimiliano. Silenzio, specie di sera, invece di profumi intensi di cucina e rumore di posate. Lì è rimasto solo Carlo Paone. Nel cui negozio è tuttavia possibile rivedere la Catanzaro in movimento degli anni prima che spuntassero i “vampiri del consumismo”, attraverso l’immenso giacimento d’immagini custodite in un disordine artistico che è il lascito prezioso e a tratti misterioso di un intelligente fotografo d’assalto. 

UN CENTRO STORICO SFOLLATO E UNA PERIFERIA SENZ’ANIMA L’epilogo di Pepè e della sua “putica” non riguardano solo le persone e i luoghi coinvolti. L’abbiamo già detto: morzello, ma non solo. Raccontano, più di altre circostanze, di una città centrifuga, sfollata verso altri “dove” periferici nell’anima, ancorché nella geografia, preda di una crisi d’immaginazione e priva di un progetto collettivo. Al posto della frase che una mano beffarda ha scolpito su un muro: “Qui non c’è più sugo”, forse si potrebbe affiggere una nuova targa con su scritto “Via Pepè le rouge”. Perché no? Se proprio la città non riesce a pensarsi diversa, e se si è consegnata, nella speranza di ripopolare il suo cuore urbanistico, all’attesa inerte che prima o poi (ancora qualche anno, asseriscono i sociologi) outlet e centri commerciali perdano mordente, almeno, nel frattempo, ricorra alla toponomastica per dimostrare che non sta tirando le cuoia. E che ha memoria di radici, persone e avvenimenti. 

IL MORZELLO E IL POSTUMANO DI STEFANO RODOTA’ IN UN SAGGIO DI “MICROMEGA” S’intitolano strade e piazze a luminari della scienza e ad artisti di successo (titoli d’onore sovente conseguiti rigorosamente fuori le mura della città), lo si faccia anche per chi ha lavorato tutta una vita a tu per tu con la pancia dei catanzaresi e i loro umori anche quelli più inverecondi.  Capita a fagiolo quella poesia di Bertolt Brecht (“Domande di un lettore operaio”) scritta per i milioni di Pepè le rouge di tutto il globo: “Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco? Filippo di Spagna pianse, quando la sua flotta fu affondata. Nessun altro pianse? Ogni pagina una vittoria. Chi cucinò la cena della vittoria”. Cuochi e pranzi e cene a Catanzaro ce ne sono state e ce ne saranno a iosa, ma intanto bisognerà fare a meno del morzello di Pepè e di Alessandro. E di quella “putica” serrata per crisi in una strada del centro degli spettri. Il punto, su cui val la pena di riflettere, è se con la scomparsa di quella “putica” nel centro storico del capoluogo della Calabria termina soltanto un’epoca, oppure tutta un’idea di città a misura d’uomo soppiantata da un’altra città che trascende l’umano (il “postumano”, di cui scrive nel numero di “Micromega” in edicola Stefano Rodotà).  Col morzello Catanzaro proponeva di sé al Paese (purtroppo mai con convinzione) la storia antica di una città colta, bella e gentile, dalla spiccata attitudine al dialogo e con un preponderante senso della dignità della persona e della civiltà. Genuflettendosi, come avviene oggi, ai centri commerciali, impaurita dall’eterogeneità, ed ai simboli omologanti e anestetizzanti che essi incarnano, potrà stare sicura che un primato l’avrà: quello del capoluogo più invisibile d’Italia. Ecco perché Pepè le ruouge non è, non è mai stato, solo morzello.     

*Giornalista

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