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Perseo, la «scellerata condotta» dell’avvocatessa

LAMEZIA TERME La pax mafiosa tra i Torcasio e i Giampà era una trappola. Di questo era convinto Vincenzo Bonaddio, al contrario di Pasquale Giampà che caldeggiava l’iniziativa. Per questo moti…

Pubblicato il: 07/02/2016 – 9:04
Perseo, la «scellerata condotta» dell’avvocatessa

LAMEZIA TERME La pax mafiosa tra i Torcasio e i Giampà era una trappola. Di questo era convinto Vincenzo Bonaddio, al contrario di Pasquale Giampà che caldeggiava l’iniziativa. Per questo motivo era essenziale avere nella «propria immediata, diretta disponibilità quegli atti che, senza dubbio alcuno, provavano, o meglio consentivano di apprendere dalla viva voce dei rivali (trattandosi di intercettazioni ambientali) il doppio gioco degli avversari, confermando quelli che fino a quel momento erano solo sospetti, fondati su dati comunque equivoci o opinabili», scrive il sostituto della Dda Elio Romano nella sua dichiarazione d’appello contro la sentenza emessa in sede di rito abbreviato sul processo “Perseo”. Gli atti che i Giampà vogliono visionare sono quelli dell’operazione “Spes”, messa a segno a fine marzo 2007 contro la cosca Torcasio-Cerra-Gualtieri. Dodici esponenti del clan rivale dei Giampà, erano finiti in carcere. Per le indagini la polizia aveva usato microspie, videocamere nascoste e sistemi d’individuazione satellitare. E secondo gli inquirenti, proprio grazie a questa operazione vennero sventati cinque omicidi che erano in corso di preparazione. Ma proprio a cavallo dell’operazione Spes i clan stavano trattando una pax mafiosa. Un’offerta di pace da parte dei Torcasio-Cerra-Gualtieri che – dopo la visione degli atti dell’operazione Spes – «per la cosca Giampà fu l’elemento di conferma […] che in realtà la stessa era da considerare solo un tranello da parte della cosca avversaria per attirarli in trappola facendogli abbassare le difese, per poi ucciderli tutti».

L’AVVOCATESSA E QUEGLI ATTI D’INDAGINE NELLE MANI DEI GIAMPA’ Le accuse che il 26 luglio 2013 hanno portato all’arresto di Tiziana D’Agosto nella maxi retata di Perseo, partono dalle testimonianze dei pentiti Angelo Torcasio, Giuseppe Giampà e Umberto Egidio Muraca.Secondo il pentito Angelo Torcasio, la D’Agosto avrebbe fornito ai Giampà, tramite Franco Trovato, parente dell’avvocatessa nonché suo cliente, i fascicoli dell’operazione Spes «con tutte le intercettazioni, tutte queste cose qua, e la famiglia Giampà voleva sapere cosa c’era in quei verbali». Ma secondo il giudice «gli atti in questione non erano secretati, anzi, erano di dominio pubblico perché posti a fondamento dell’emissione di un provvedimento giurisdizionale mediaticamente “clamoroso”, qual è un’ordinanza di custodia cautelare in carcere» i cui stralci «vengono addirittura divulgati dagli stessi mass media». Inoltre, Franco Trovato era indagato nel procedimento Spes, ragion per cui «la consegna nei suoi confronti di copia dei documenti del fascicolo processuale era atto, prima ancora che legittimo, dovuto». Il pm Elio Romano contesta fortemente quanto sostenuto dal gup Giuseppe Perri che ha assolto, in sede di rito abbreviato, la D’Agosto dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo il pm «non si è mai sostenuto che gli atti divulgati dalla Tiziana D’Agosto fossero “segreti”, altrimenti altre al capo del concorso esterno vi sarebbe stato un latro capo d’imputazione, […] la condotta concorsuale di quest’ultima si sostanzia […] nell’aver portato a conoscenza dei vertici della cosca Giampà (Vincenzo Bonaddio e Giampà Pasquale) elementi rilevanti ai fini della vita dell’associazione ’ndranghetista in parola, dati investigativi che i componenti di quest’ultima non avrebbero potuto legittimamente conoscere, non avendo possibilità di accesso agli atti processuali…».
La conoscenza di quegli atti avrebbe reso «inevitabile», scrive il pm «secondo quella logica tipicamente ’ndranghetista che impone di punire senza pietà qualsiasi tradimento, la pianificazione, nei mesi a venire, di una pesante, spietata controffensiva, di fatto attuata e protrattasi per anni (com’è dimostrato dalla sequela interminabile di omicidi ai danni di esponenti della cosca dei Torcasio verificatisi dal 2007 al 7 luglio 2011)». Gli atti richiesti dalla cosca vennero consegnati – come testimonia anche Giuseppe Giampà – dopo l’omicidio di Federico Gualtieri avvenuto il 27 marzo 2007. Secondo il sostituto procuratore questa circostanza non «alleggerisce anzi aggrava la scellerata condotta informativa tenuta dall’imputata alla quale, quindi, in quel periodo non potevano sfuggire – tenuto conto anche delle funzioni professionali svolte da anni nell’ambito di svariati procedimenti di criminalità organizzata – le effettive motivazioni che sorreggevano la specifica richiesta del Bonaddio, evidentemente intenzionato a verificare personalmente e a mettere a disposizione dell’intero gruppo quegli atti, quelle intercettazioni ambientali che ufficializzavano il piano di morte ordito nei loro confronti…». E «l’illecita motivazione», dice il pm, non poteva sfuggire alla D’Agosto che conosceva il contenuto di quegli atti e «che ben sapeva» che in quel particolare periodo potevano fomentare i pericolosi propositi di vendetta della cosca Giampà «che sino a quel momento aveva già dato atto di possedere un efficacissimo gruppo di fuoco, nel proprio alveo, azionabile sul territorio in poco tempo».
«Ed allora – prosegue il sostituto – la gravità della condotta sin qui ricostruita è incontestabile, così come incontestabile è l’idoneità della stessa a configurare il contestato delitto di concorso esterno».
Sul finale, nel richiedere che Tiziana D’Agosto venga riportata in giudizio per il processo d’appello, il pm calca la mano sulla condotta dell’avvocatessa ritenendo manifesto «come la condotta, avendo permesso alla cosca di acquisire prontamente la disponibilità di atti la cui integrale conoscenza ha, in quella delicata fase, rafforzato le strategie della cosca Giampà, consolidandone i propositi omicidiari…».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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